Uno dei protagonisti indiscussi del Novecento, quando la nuova aristocrazia industriale lo scelse come simbolo della sua ascesa, il velour, della famiglia del velluto, è il simbolo del riscatto sociale che ha accompagnato per generazioni l’uomo in viaggi temporali quanto estetici, tra tradizione ed innovazione. Sovversivo indosso agli yuppies, classicista sui preppy boys e royal per le nuove tendenze social che lo ritraggono come l’ultimo statement di un benessere aristo-tech, il velour ritorna sulle scene di Milano e Parigi, da Gucci a Chanel, in una veste tutta nuova che abbatte la distanza tra dailywear ed eveningwear, grazie alla sperimentazione della sua lavorazione.

Dal corduroy, detto anche “a coste”, al velveton, fino al dévoré e al froissé, le collezioni FW23 riscrivono il manuale d’uso del velluto e lo eleggono a tessuto principe del guardaroba 2023. Mille lavorazioni si svelano in abiti cut-out, giacche strutturate e micro accessori, a simboleggiare un’innovazione estetica le cui origini risalgono a millenni fa, tra la terra rossastra dell’Antico Egitto e le mura violacee delle dimore reali della Fenicia.

Comunemente associato al guardaroba standard dei 70s, il velour ritrova le sue origini nella regione del Cairo. Il suo antenato è il fustagno della città di al- Fustat, che, più di mille anni fa, rappresentava uno dei principali luoghi di produzione tessile. Con un ordito in lino ed un doppio filo di cotone, il fustagno presentava la classica lavorazione a rilievo, capace, grazie alla combinazione della leggerezza del lino e della resistenza del cotone, di sopravvivere ad ogni usura nel tempo. La notorietà la raggiunse, però, anni dopo, nel 1400, quando i mercanti italiani lo diffusero tra le famiglie aristocratiche che ne intravidero un nuovo status estetico dato dalla sua unicità, dovuta alla sua complicata e scarsa reperibilità e ai costi d’importazione altissimi. Questo non ne rallentò la crescita e, presto, il fustagno divenne il tessuto preferito da intere casate reali, come quella dei Tudor che lo scelse non solo per abiti e accessori, ma anche come arredo per le dimore. Ed è proprio sotto il regno dei Tudor che il velour raggiunse la massima diffusione, grazie all’incremento di lavorazioni che sperimentavano nuove combinazioni ottenute con l’uso di lana, cotone e lino: tutti tessuti comuni che avvicinarono i velluti anche alle classi più basse. Dopo i Tudor anche la Chiesa lo incorporò nelle funzioni ufficiali, diventando addirittura il simbolo di alcune festività.

Marianne Faithful and Mick Jagger arriving at the Royal Opera House, 1967.

Nel 1700, la produzione raddoppiata e le nuove tecnologie di import ed export, rendono il velour uno dei tessuti più diffusi tra aristocrazia e popolo, e questo non può che essere il principio. Nel 1900 viene introdotto anche nel guardaroba infantile e pochi anni dopo la società automobilistica Ford realizza il primo modello di Ford T con rivestimenti interni realizzati in velour trattato che garantivano prestazioni sportive e comodità. Così la personalizzazione del velour mostra nuovi percorsi ed usi, arrivando, negli anni ’70, ad essere utilizzato per il design, dall’arte all’arredo, e in una rivisitazione del guardaroba genderless.

Grazie a icone come Marianne Faithfull, il velluto nella sua lavorazione velour diviene privo di ogni etichetta di genere, con gonne lunghe high-waist e giacche strutturate che spaziano dal womenswear al menswear. Ora la veste multiforme del velour assume nuovi volti e la FW 23 si presenta come il suo ultimo aggiornamento identitario. Identità, come quella di cui era in cerca Gucci, che riscopre negli albori 90s del brand la seduzione del velour, con pantaloni low-waist viola scuro che incorporano il minimalismo “fordiano” e la sovversione dei 2000.

Più preppy, quasi collegiale, è l’accezione conservatrice di Rodarte, che immagina una femminilità antica, quattrocentesca, racchiusa in mura di tessuto velour nero, a richiamo del suo esordio in terra europea. Conservatrice, ma a tratti modernista, è il womenswear di Etro, che tra stampe iconiche e il rigore di tagli tailoring, rivede nel velour il simbolo di una formalità classica, data da un look abito-cappotto che rompe la monotonia sartoriale con l’uso del pattern icona del brand rivisitato. Fendi rappresenta l’ultima fase di sperimentazione tessile. Il suo look gonna-top non prevede strutture, se non le forme del corpo. Il velour diventa una seconda pelle che svela la corporeità, non solo femminile, ma anche quella del tessuto stesso, trattato con tecnologia mono-filo per divenire così leggero.

L’aristocratico velour, primogenito del velluto, appare e scompare nella storia dell’abito. Idealizzato negli anni ’70, sostituito da surrogati a basso costo negli anni 2000, ritorna nella FW 23 in una veste sperimentale. E tra innovazione tessile e traduzione identitaria, il velour ammalia le nuove generazioni, avide di viaggi temporali e narrazioni epocali.