Abituati a leggere l’abito come codice di genere, non sorprende se l’impegno delle nuove collezioni sia volto a sovvertire l’antica concezione dell’abito normcore che divide il womenswear dal menswear. “L’abito come arbitro di genere”, disse negli anni ’80 Barbara Kruger, quando, riferendosi all’attivismo ed alle battaglie di genere, portò all’attenzione del grande pubblico il termine Tomboy. Ma le origini della parola risalgono al 1952, quando apparve per la prima volta sull’Oxford English Dictionary, riferendosi ad una donna con caratteristiche solitamente attribuite al genere maschile, il che include anche indossare abiti maschili e dedicarsi ad attività sportive riconosciute, da alcune culture, come non femminili. In seguito quella del Tomboy è divenuta una tendenza che superava la veste attivista per divenire estetica, anche grazie alle collezioni 90s di brand come Prada che la portarono alla rivalsa del genere femminile e del suo ruolo sociale. Un modello usato da tutte quelle giovani donne che rifiutavano gli schemi imposti dalla società e che cominciarono a reinterpretare il completo maschile. Pantaloni e giacca in una nuova veste più concessiva e meno formale, dall’immagine emancipata, che poi negli anni 2000 muta in un look formato da denim e giacca sartoriale, senza l’uso della camicia. I tempi portarono con sé una nuova consapevolezza del corpo e la moderna interprete Tomboy diventò più seducente che mai. Ora, nelle ultime collezioni della FW23, da Prada, che da sempre sperimenta con il rigore formale dell’abito maschile, a MaxMara, abile traduttrice di una femminilità sartoriale, la tendenza genderless torna a far parlare di sé e, per la prima volta, si avvale del concetto di genere in una rilettura tutt’altro che conservatrice.

Non serve più l’uniforme anti-normativa del woman’s suit per poter parlare di genderless, ora il discorso si fa più complesso e coinvolge la concezione contemporanea di corpo come mura modellabili dell’Io. L’opera cinematografica dal titolo “Tomboy” uscita nel 2011 e presentata nei cinema parigini come l’ultimo modello di movie queer si concentra proprio sul corpo per narrare la storia di Laure, la giovane protagonista di dieci anni che decide di fingersi maschio. Una mimesi tra corpo ed identità che porterà Laure a sperimentare con il guardaroba di lui, scoprendo diverse affinità con il genere maschile. Dopo una fase di allontanamento dall’abito sociale femminile, la protagonista, nonostante la sua giovane età, si chiede quale sia il modello in cui identificarsi, per poi capire che il modello che ricerca ha il suo stesso nome e le sue stesse sembianze: è se stessa. Un messaggio di inclusione che sovverte il normcore in un percorso di crescita personale.

Quella stessa crescita che ripercorre la donna della FW 23. Un mutamento che non coinvolge il contenuto, l’identità, ma il suo contenitore, la forma, cioè l’abito, come per Tod’s che decide di ricostruire la propria Tomboy tra abiti dalle tinte scure e velature di pelle, che si intravedono sotto giacche “spallate”. Lineare e senza decorazioni, il completo femminile del brand si divide in due parti: pantaloni taglio maschile dalla gran lunghezza e giacca femminile, senza vita, ma pur sempre seduttiva grazie all’apertura anteriore. Compostezza formale, ma senza velature anche per Gucci, che nel classico abito grigio rilegge le proporzioni del corpo femminile: più lineari e meno rigide. A completare il look, cinta con logo 90s e micro bag a regolare il taglio ampio di pantaloni e giacca.

Discorso diverso per Prada che dedica al rigore formale la sua Tomboy FW 23. Cappotto nero e colletto sporgente a contrasto, non serve altro per rendere la femminilità fluida. La Tomboy di Prada è impegnata, introspettiva e avvincente, il suo è un genere auto-definito. Al contrario, impavido ed indefinito, proprio perché l’unione di più guardaroba è l’immaginario caldo di Max Mara, che si muove per contrasti di forma e tessuto per vestire la femminilità più audace. Completo dalle tinte iconiche del brand e sotto corpetto in pelle con maglia velata: un’antitesi estetica che rivela una netta divisione di ruolo tra completo e corpetto, ma una convivenza di genere, che quasi annulla la definizione di womanswear comunemente nota.

E, allora, esiste ancora un genere dell’abito? La tendenza FW 23 Tomboy mostra come esistano ruoli, funzioni, ma non identità di genere. L’abito femminile non è un riadattamento di quello maschile, ma una rilettura estetica di forme e tagli su un corpo diverso. Unicità e diversità, i due grandi temi del genderless ancora una volta impegnati nell’abbattimento della gender law.