Lo aveva preannunciato il Women’s Wear Daily con quattro anni di anticipo, quando disse che TikTok sarebbe diventata la nuova macchina creativa collaudata per lo share di micro e macro tendenze dalle origini digital, ma che nel tempo di un mese sono in grado di superare lo schermo e di materializzarsi come l’ultimo fashion statement. Nascono così, sotto lo sguardo attento di miglia di account social, sperimentazioni moderne di estetica e comunicazione che hanno riportato alla notorietà stili come l’Old Money ed il Quiet Luxury e che ora presentano l’ultima tendenza: la Vanilla Girl da 700milioni di visualizzazioni. Biondi pallidi, tinte opache ed accessori dall’apparenza sobria sono gli elementi che definiscono la nuova femminilità della FW23 che predilige un minimalismo frugale, quasi spontaneo, che incornicia in pochi, ma importanti capi un lusso sottotono. E così da Prada a Gucci la linearità di abiti e gonne si alleggerisce, riducendosi ad un equilibrio percettivo tra forma e corpo: perché come dimostra TikTok, il contenitore, a volte, costruisce a propria immagine il contenuto.

Se ora ci si domandasse quali siano le nuove icone della generazione Zillenial (i giovani nati tra gli ultimi anni del 1990 e i primissimi del 2000), si rimarrebbe sorpresi dalla risposta. Non sono le fashion icons 80s colme di simbolismi e costruzioni, né quelle degli 00s che hanno sperimentato con i mille volti della youth culture, ma tutt’altro. L’Urban Dictionary – che da anni si occupa di intercettare i desideri delle nuove generazioni traducendoli in un linguaggio comune – dice che la new generation vive di icone comuni, dalla vita semplice e dalle ambizioni condivisibili: le donne capaci di districarsi tra vita lavorativa e vita privata. In poche parole, un ideale semplice alla portata di chiunque che però spesso scompare dietro le sovrastrutture sociali che creano un finto e lontano ideale di eccessi ed esibizione. La sua nascita digitale è attribuita a Emily Oberg, che con il suo account social ha diffuso un immaginario fatto di abiti minimali e abitudinari, quelli che chiunque ha nel proprio guardaroba. Le Vanilla Girl della Oberg sono le eredi delle Clean Girl del 2020, che già qualche anno fa si erano impegnate in una rivalutazione dei capi “da avere” nel guardaroba, riconsiderando i più basici. Anche la cinematografia si è adattata a questo modello, come con Cate Blanchett nei panni di Lydia Tár, una donna qualsiasi, ma con la particolarità che il cappotto che indossa, apparentemente no brand, è di The Row e l’orologio al polso è un vintage del 1980 dal valore di miglia di euro, eppure non lo esibisce e sembra quasi nasconderlo.

Lo stesso avviene nelle collezioni: se Celine e The Row già lo facevano, Prada ci si avvicina sempre più, seguita da Chanel e Fendi. È la spontanea, ma anche ben studiata, reazione ad un periodo redditizio, ma che ora deve essere rivisto.

Prada reinterpreta il concetto di fluidità ideando una propria Vanilla Girl: gonne ampie dal bianco pallido, maglie in lana. Un immaginario a tinte neutre, spontaneo nella sua concezione e spoglio di sovrastrutture che, insieme a Prada, Fendi rivede nella sua fluidità. Look formati da pantaloni dritti e top versatili per la loro chiusura ridefiniscono le linee del corpo senza nasconderle, in un’omaggio alla donna ed al suo dinamismo.

Analogo il discorso che fa Max Mara che sulle tinte chiare ha costruito la sua identità e che nella FW23 rende vivaci in cappotti dalle ampie dimensioni con accessori decorativi. Miu Miu segue la stessa linea per i cappotti muovendosi sulle stesse tinte, ma accorciandoli, pur conservando la loro softness. La Vanilla Girl di Miu Miu è smaliziata e complessa, un’intellettuale moderna di giovane età nascosta dietro montoni vaniglia. Hermès, al contrario, guarda alla Vanilla Girl d’identità più matura. Una donna adulta che si muove agilmente tra pantaloni ampi in tela leggerissima e la lana fine di maglie a tinta unica.