“L’efficacia di un messaggio si deve agli interlocutori”, disse Enrico Ricci-Bitti, esperto di comunicazione (non)verbale, quando, spiegando l’importanza del corpo e del suo contenitore, dimostrò che le parole possono essere “interpretate”, ma le movenze e i gesti sono messaggi “a senso unico”. Non importa quanto si possa amplificarne la gestualità, il corpo sarà sempre l’intermediario ideale tra l’uomo esterno e l’Io della ragione. È su questo equilibrio delle parti, una “corporalità multicanale”, come la definì il professore Ricci-Bitti, insita nella nuova fisicità femminile, che si costruisce il macro tema della Milano Fashion Week SS 24, la quale, -tra quattro debutti di nuove direzioni creative e un sentito saluto alle fashion scene – dibatte sul ruolo del lusso nel dialogo tra l’uomo, in questo caso specificamente la donna, e il corpo come lo strumento di messaggistica istantanea più antico di sempre.

C’è chi si serve di un linguaggio millenario, colmo di risvolti storici, come Fendi, e chi ritorna all’idea di corpo come complesso architettonico di linee e forme senza pretendere di essere altro, come per il nuovo capitolo di Gucci. I messaggi sono diversi, ma il canale di comunicazione prescelto questa volta non è solamente l’abito, ma quello che custodisce: il corpo.

I più antichi ed abili comunicatori, che hanno reso la corporalità simbolo di disciplina e aspirazione, secondo la storia sono i Romani e Fendi decide di omaggiare proprio la modernità di forme marmoree, rigide quanto modulabili. “A Roma la femminilità giace nella disinvoltura”, dice Kim Jones al termine dello show SS 24, che vede abiti lineari, a pieghe e stretch dialogare con l’identità storica del brand. Loghi nascosti da giochi visivi, la double F che si appropria di look interi e maglie annodate dalle tinte dell’arancio, azzurro, giallo e grigio ripercorrono all’indietro la biografia del brand e della sua terra d’origine, Roma, servendosi di uno strorytelling per colore e per taglio che si anima una volta indossato.

Aristocratico e sensuale, il corpo diventa desiderio maturo: per N°21, diversamente da Fendi, la SS 24 prende forma sul concetto di “immediatezza”, quell’istantanea volontà di piacere che comunica un corpo esibito che non deve essere letto timidamente, ma con autorevolezza, imponendosi tra gonne aderenti low-waist e maglieria micro. Una rilettura dei piaceri del corpo, ma dal pudore borghese che sussurra “ammirare da lontano”. Diversa, anzi diversissima, è la femminilità distressed di Diesel, dove l’abito vive solo grazie al corpo. Per Glenn Martens ogni look della collezione, dai long dress velati ai boiler suit in denim, deve essere usato e “usurato” perché: “Ogni capo che realizzo ha una vita lunga che accompagna chi lo indossa nel quotidiano”, dice Martens. Questo vuol dire che il corpo non solo ha il compito di colmare i cut degli abiti, ma viverci, come fosse una pelle di tessuto, proprio come per le borse, che si prendono inserendo metà braccio.

Come Diesel, anche Etro segue la linea del “riempire gli spazi”, perché i suoi abiti sono tagliati sulle forme femminili, adattati ai suoi movimenti, dove ogni piega è voluta. Simile il discorso che fa Max Mara, quando costruisce un giardino estivo esotico quanto cittadino, tra trench in cotone-simil denim rosa e hot pants verdi. Un viaggio tra foreste verdi e spiagge dorate, tra accenni di gambe e braccia coperte.

Il dibattito si infittisce quando Prada presenta la sua collezione SS 24: un manuale contemporaneo sulla multicanalità del corpo e la sua fluidità. Abiti velati, giacche strutturate con gonne a macro frange e camice stampate, contrasti che letti nella loro totalità sono analoghi, simili, ma pur sempre diversi, perché appartengono alla donna e alle sue mille possibilità espressive. Un’architettura che – come richiama lo slime che colava sullo stage – è modellabile e per questo da contenere tra le mura solide di giacche settoriali e la fluidità di veli e velature.

E se per qualcuno veli e velature sono sinonimi di purezza, per un designer al debutto in uno dei brand più dibattuti degli ultimi tempi lo è ANCORA (titolo della collezione) di più. Quando Sabato De Sarno presenta la sua SS 24 per Gucci, la prima alla direzione creativa, tutti si domandano come sarà. La risposta non tarda ad arrivare: un ritorno, un viaggio all’indietro, un “antecedere” del futuro inteso come sperimentazione, per De Sarno l’abito deve trasmettere sicurezza, agiatezza e confidenza. Così Gucci si esemplifica, si alleggerisce di ogni complicazione, in un rosso che non incita al movimento, ma che sussurra al corpo, regalandogli un calore inaspettato. I richiami al suo passato, alla sua esperienza da Valentino, sono diversi, ma rielaborati nel linguaggio di Gucci: dalle platform delle scarpe che alzano di molto i mocassini iconici di Gucci, le giacche verde accesso con frange abbinati a hot pants che si avvicinano ai modelli 90s con i quali il brand debuttò nel prèt- â-porter e i top velati uniti a maglie cut-out, un ricordo della nudità esplicita di Tom Ford. Un assestamento che lascia spazio ad un continuo, perché come dice il designer “ANCORA è un divenire”.

Versace, tutt’altra storia. Mostra una nuova femminilità, sempre decisa ed autoritaria come suo solito, ma molto più ladylike, quasi più matura dell’ideale teen al quale il fondatore ha sempre guardato. Giacche avvitate, stampe check, mary jane e molto, moltissimo rosa sono le parti fondamentali del nuovo look di Versace che sperimenta la A-Line di una fisicità che parla chiaro: “C’è chi cresce e chi ringiovanisce, Versace non ha età”. Ma quand’è che il corpo diventa il motore dell’abito? Questo lo spiegano in ultima battuta Missoni e Bottega Veneta con due show analoghi dall’obiettivo comune. Il primo in ordine cronologico, Missoni, accende i look a rete con macro frange in un set che ricorda le bolle spumeggianti della Costa Brava 70s. E sotto le cuciture neon intessute di elettricità si attiva una catena di incessante stupore che non solo dà vita all’abito, ma lo eleva, mostrando quanto il corpo ricerchi la vivacità, la sua ragione ad agire, proprio nell’abito.

Bottega Veneta porta in scena l’Odissea dell’uomo, il viaggio complicato della donna alla riscoperta di sé. Una mappatura del proprio essere che si rivela dall’intimità all’esteriorità, come dimostrano abiti tridimensionali che si mettono in funzione quando ci si muove dentro, il tutto reso possibile da un macro knitwear che aumenta lo spessore di completi e borse, che anche se visti scorporati non sono mai statitici. Il brand ricorda al suo pubblico che la meta vale il viaggio e che spesso un abito è il mezzo ideale per raggiungerla.

Così il corpo muta, assume nuovi significati e si spoglia di giudizi conservatori. Quello che importa è che esista un contenitore all’altezza del suo contenuto, capace di proteggerlo e preservarlo. In fondo, come disse Jacqueline Bisset: “Corpo mio guidami tu”.