“Molto hot poco pants”, riportava in prima pagina un giornale inglese negli anni ’80, il Women’s Wear Daily, quando un gruppo di donne incominciò a scoprire le gambe, rivendicando così non solo il proprio corpo, ma anche quella ammaliante sensualità a lungo nascosta dal buon costume conservatore. Gli hot pants sono i protagonisti di anni turbolenti, tra il 1950 e il 1980, decenni in cui la donna iniziava a scegliere e stabilire chi essere. “Un gioco interpretativo che mai negò alla donna di essere se stessa”, disse Emilio Pucci, intercettando quella tendenza già nei primissimi 50s, quando l’abito iniziava a servire anche per agevolare i movimenti, in risposta agli anni precedenti, che avevano visto la donna chiusa in strutture occlusive.

Dunque, quale migliore idea se non abbreviare del tutto la lunghezza di gonne e pantaloni. E se oggi le temperature agevolano l’esposizione di gambe e altri parti del corpo, perché non permettere agli hot pants di tornare sulla scena? E così, nel tempo di un mese, tra Milano e Parigi, le collezioni si riempiono di questi micro pants, anche detti underpants, per via delle dimensioni ridottissime che richiamano quelle dell’intimo. Se un tempo era d’obbligo portarli con le calze, la FW 23 mostra come non ci sia una regola unica, ora a far distinzione è la vita che si divide in alta e bassissima. Così da Miu Miu a Valentino si alternano velature e pelle in un gioco di “scorci”.

Quando il cantante James Brown intitolò uno dei suoi singoli “Hot Pants” non sapeva che da lì a breve i micro-pantaloni avrebbero raggiunto la notorietà internazionale, ottenendo il proprio spazio nel guardaroba femminile, ma non senza prima dover superare l’occhio giudicante della società più conservatrice. C’è chi li definiva come “anti-etici”, chi come troppo spregiudicati, provocanti o allusivi’’, ma questo non impedì agli hot pants di affermarsi tra le giovanissime di Londra e Parigi, nonostante il tessuto usato fosse così poco, in quel poco spazio i messaggi che si potevano leggere erano migliaia. Così, dopo diversi dibattiti sulla morale, gli hot pants divennero tendenza, lasciando spazio al corpo femminile. A Milano, arrivarono in contemporaneo alle altre due capitali della moda europee, con la collezione “Siciliana” di Pucci. “Erano realizzati in cotone a tinta unita, stampato e twill di seta, avevano sempre la zip al lato ed il cinturino”, ricorda la figlia di Emilio Pucci, che definisce il modello degli hot pants come un capo nato per durare, resistente e mutevole. Mutevole proprio come la personalità dei suoi grandi interpreti: da Brigitte Bardot a Madonna.

Sono mille le interpretazioni degli hot pants e con l’ultima FW 23 diventano mille più una. Una, come la rilettura seduttiva, quasi infantile di Miu Miu, che, in un velluto a coste, avvicina l’immaginario smaliziato della it-girl contemporanea a quello delle giovani battagliere 50s, creando una connessione temporale quanto estetica tra gli hot pants e la donna. Simile è il viaggio all’indietro intrapreso da Missoni, che riporta i micro pants nei club di New York, dove ballare richiedeva spazio non solo in pista, ma anche fisico. Aperture di gambe che mostravano una femminilità lontana dalla seduzione, ma impegnata a viversi come libera.

Tecnici, vicini al workwear sono quelli di Andreādamo, con il quale diventano rigidi e pesanti, sopratutto se indossati con stivali e top in denim in tinta. Sempre in denim, ma elastico, quasi una seconda pelle, per il modello di Y/Project, che sperimenta con una femminilità, ancora una volta, priva di convenzioni. Quelle stesse convenzioni che sigillano i tasselli bianchi e neri della tela check di Valentino, il quale ripresenta gli hot pants in un look sartoriale dalla finta austerità.

Allora, se gli hot pants furono bollati come provocatori e indecorosi, ora sono molto di più di questo. Figli della storia e sostenitori della femminilità, accompagnano la donna nella sua crescita. Una crescita che non è di età, ma di maturità e libertà.