Le ultime informazioni diffuse da Lifegate sulla quantità di abiti che annualmente vengono gettati nelle cosiddette “eco-island” riportano l’attenzione dei consumatori sui temi dell’eco-sostenibilità e del climate change. Sono il 60 per cento gli abiti acquistati ogni anno e poi gettati in spazi appositi, dove impiegano quasi il doppio del tempo per essere eliminati, portando la moda ad essere responsabile del 15 per cento del consumo energetico, che, secondo il Dirty Report, potrebbe arrivare al 25 per cento nel 2050. All’impatto ambientale del fashion si aggiunge l’equilibrio ambientale che vede il suo eco-sistema sottoposto a modifiche continue: dal clima al diboscamento degli spazi verdi che portano anche all’aumento dei costi di materiali come cotone e pelle, proprio perché sempre più rari da ottenere. Così, in un quadro che dalle tinte verdi passa gradualmente ad altre più grigiastre, la moda si impegna in prima persona a combattere sprechi e consumi eccessivi grazie a nuove normative ideate, non solo dalle istituzioni regolamentari, ma anche dalle stesse amministrazioni di brand e gruppi d’investimento con l’ideazione di un nuovo processo produttivo ad impatto (quasi) zero. E non è solo la parte amministrativa a valutare alternative green, anche le stesse direzioni creative si servono delle collezioni per portare il messaggio ambientale sotto gli occhi del pubblico. Così, da Marine Serre a Rabanne, la moda si veste di attivismo e si fa propulsore di un movimento di sensibilizzazione che parte dal prodotto stesso, rendendo il progresso “indossabile”.

“Buy less, buy better” è lo slogan di un movimento nato negli anni ’80 tra show e fashion event, che già allora sosteneva il ricorso della moda a nuove fonti produttive più sostenibili, dopo quarant’anni considerate “obbligatorie” dalle commissioni internazionali su clima ed ambiente. Ma quali sono ora i paladini del green nella moda? I volti dell’industria, i creativi tessitori di messaggi per i quali l’ambiente è un tema irrinunciabile? Marine Serre, green activist dal primo giorno, sostiene che la moda abbia il compito di sensibilizzare i suoi compratori, guidandoli verso la scelta e l’acquisto consapevole. Un no deciso ed irremovibile verso le alterazioni climatiche da tradursi in una collezione FW 23 formata da abiti upcycled e accessori in tessuti rigenerati. Sfilano modelle col volto nascosto da ritagli di giornali dai titoli ambientalisti, long coat con applicazioni di immagini in simil carta che sembrano provenire da alcuni magazine, shopper riutilizzate come fossero tessuto e intessute in blazer bianchi. Tra questa moltitudine di tessuti dai nuovi risvolti, il moireé è protagonista. Materiale di riferimento per diverse collezioni del brand, è realizzato con reti e lenze, a dimostrazione che la moda può – anzi deve – sempre dare il messaggio corretto, non solo nell’abito finito, ma nel suo stesso concept originario.

Marine Serre non è la sola a ritrarre una moda etica, anche Hillary Taymour, direttore creativo di Collina Strada, immagina un domani diverso. Il domani che mostra il brand con l’ultima collezione FW 23, è, però, un futuro deteriorato, che vede il corpo umano modificarsi tra applicazioni zoomorfe ed abiti dritti dalle forme alterate. Il messaggio è quello di sensibilizzare gli spettatori verso la scelta responsabile di prodotti che non prevedono pelli animali.

Prada, che da anni sostiene l’ambiente con i progetti re-nylon, pone, con la collezione uomo SS 23 e poi con la donna,  l’attenzione sul consumo di materiali plastici e sulla carta, ideando camicie e giacche dal taglio maschile dall’apparente rigidità, come se fossero una pagina di un libro e dalla leggerezza di un cotone stampato. Anche la stessa scenografia della collezione menswear, fatta di mura di carta bianca, è un invito a considerare nuove pratiche produttive che, come ha sottolineato Miuccia Prada: “Non rinunciano all’estetica”.

Sempre per la SS 23, Chloé presenta una collezione “attiva ed impegnata” sui temi della ricerca ambientale. Abiti a microfori bianchi con applicazioni metalliche richiamano la nuova sperimentazione energetica che otterrebbe dalle stelle energia pulita da poter usare nella quotidianità. Una delle climate solution, che fa dei look l’espressione creativa del progetto, insetita nel Vertical Project sostenuto dalla maison. Il progetto prevede che tutti i capi della SS 23 siano forniti di un codice digitale che consente agli utenti tracciare il percorso di uno degli abiti ed accessori dalla materia prima fino al prodotto finito, permettendo anche di conoscerne l’impatto ambientale e sociale.

L’ultima collezione tributo di Rabanne al suo fondatore, è un’ulteriore dimostrazione di come la moda, sin dalla nascita del prèt-â-porter, abbia sempre sperimentato, immaginando alternative innovative al classico filato. Per questo, lo show è un omaggio alla creatività 90s di Paco Rabanne, che inventò l’abito A-Line metallico, con il quale guardò alla donna del futuro tra abiti ispirati alla Space Age, immaginando una nuova Green Age.

La moda, con la sua creatività, offre così nuovi percorsi da intraprendere, ponendo l’abito come simbolo di una generazione accorta ed attenta, desiderosa di intervenire, che rivaluta il lusso per la sua atemporalità. Un valore che deve portare a riconsiderare i tempi di produzione, ora incessanti e sovraproduttivi. Sarà questo il segno di una rivincita dei materiali tecnici come il nylon? È ancora tutto da vedere, ma risanare il divario tra moda e ambiente è ora più che mai l’obiettivo dell’ultima generazione creativa.