È consuetudine della moda alterare la percezione del reale, a volte “ingannando” il pubblico con sperimentazioni tessili e innovazioni tecnologiche. Da sempre, l’abito è il risultato di fili intessuti che generano un prodotto finito, la cui immagine è fedele alla percezione che si ha indossandolo, e non vi è Intelligenza Artificiale capace di annullare questa unione millenaria. Al contrario, come sarebbe se le parti si invertissero? Se un tessuto fosse la copia di un’altro? Sembra un’impresa scientifica, ma non lo è: è solamente il risultato di un approfondito studio tessile, unito alla maestria dell’artigianato italiano. Soprannominata “It’s not how it looks”, quella del gioco di ruoli tra una trama tessile e l’altra è l’ultima tendenza che sperimenta con la percezione umana, lavorando sul concetto di “sorpresa”. Dal denim stampato su pelle rigida alla divisione in pixel di cotone bidimensionale, l’innovazione artigiana recupera dal passato, precisamente dai primi 2000, i look combinati di Paris Hilton e Britney Spears, le quali apparivano strette in top e gonne con stampa denim che riproducevano i tagli degli iconici 501.

Il primo tra tutti fu Versace, quando, alla fine degli anni ’90, capì che la stampa grafica su tessuti lisci come seta e nylon poteva rappresentare un’innovazione per la resa dell’abito. Così realizzò collezioni grafiche che ricreavano il jeansato su look lineari alternati a micro-top elastici in blue denim. Proprio un abbinamento, di stampa e texture, che rese iconico il look combinato, in vero denim, di Britney Spears e Justin Timberlake agli American Music Awards del 2001, che fece discutere pubblico e stampa. A proposito di quel look, Timberlake, anni dopo, disse che la scelta non era stata del tutto inadeguata, ma erano i tempi a non essere ancora maturi per un simile crossover estetico. E su questo il cantante ed attore ci vide lungo, perché, una ventina di anni dopo, Blumarine, al suo secondo show guidato dal direttore creativo Nicola Brognano con la SS 22, riporta in collezione quel look, rendendo omaggio alla combinazione tessuto-stampa in un nostalgico immaginario 00s. È il caso di dirlo, “non è come sembra”: abiti lunghi, lineari, top, cappotti e stivali stampati come se fossero parti di pantaloni tagliati e riuniti insieme che rendevano l’intera collezione un tributo al denim senza nemmeno usarlo.

Bottega Veneta SS 23

A Blumarine si aggiunge la collezione di Fendi by Versace, nella quale i rispettivi direttori creativi reinterpretano i codici dei due brand in una collaborazione dove la stampa denim è protagonista. Il logo di Fendi si veste di denim print con spille Versace a richiamo delle collezioni del 1990 del brand e lo stesso appare sui mini dress in seta leggerissima stampata. Fino ad arrivare alle ultime collezioni, che immaginano la pelle come terra di sperimentazione. È Bottega Veneta che, per la sua collezione SS 23, rivede la leggerezza del denim con i suoi look grunge: si nota subito la linea dritta della giacca-camicia a quadri e dei pantaloni, insolita per dei tessuti a trama. Una cadenza sartoriale attentamente studiata, spiegata dal materiale usato, che non può essere tessuto con trama e ordito, ma uno più rigido e senza pieghe. È proprio la pelle nabuk che richiede dodici passaggi di stampa colorata, in un processo di spazzolamento e di carteggio a riprodurre l’immagine del denim, ma non solo per i pantaloni, anche per i top bianchi, camicie e giacche. Una rilettura dei codici di Bottega Veneta, che da sempre fa della maestria artigianale il suo fondamento, e che, dopo l’estetica 00s e il Quiet Luxury, incontra anche il progresso tecnologico nella produzione tessile.

Sempre di tecnologia tratta Loewe ed il suo giardino rigoglioso della SS 23 Man, dove tutto è reso possibile dal contatto tra macchina e terra. “Un’unione di materia organica e tessuto”, ha detto Jonathan Anderson, direttore creativo della maison, sulla collaborazione green con Paula Ulargui Escalona, con la quale per quattro anni ha sperimentato tra piante e materiali eco-compatibili. Il prodotto finale si intravede su scarpe e cappotti dalle forme macro, dove sembra crescere l’erba, tutto vero? Assolutamente sì, l’erba è la variante di erba gatta e la chia permette ai tessuti di custodire la pianta. La tinta sabbiata deriva proprio dalla chia e si abbina all’idea della terra sulla quale far crescere questo giardino vivente. Una tecnologia unica, che ha richiesto più di quattro anni di ricerca alla Escalona, ma ai quali si è adeguato Loewe. La stessa lunga ricerca impiegata per la SS 23 Woman della maison, quando gli abiti diventano immagini computerizzate formate da migliaia di pixel in 8bit. Anche qui la tendenza “non è come sembra” risulta vincente, perché attira l’attenzione del pubblico, che solo nel post-show scopre l’inganno: un cotone rigido sul quale è stata applicata una stampa in 3D, capace di creare quella percezione videogame.

Per Loewe è il secondo atto di una storia di pura sperimentazione, ma per Valentino, con la sua ultima Haute Couture, è la prima volta. La maison guidata dal direttore creativo Pierpaolo Piccioli stupisce il pubblico con un pantalone dall’immagine denim, ma che nasconde tutt’altra lavorazione. Una lunga lavorazione di un mese per realizzarlo e non è la tela del denim, bensì gazar di seta con ottanta perle di vetro tinte di indaco che rendono il pantalone simile ai 501 della Levi’s. Un gioco ottico che porta il pubblico a domandarsi ancora una volta se la regola dell’essere ciò che si appare ha ancora valenza indiscussa.

Dopo anni di innovazioni per forme e tagli, il tessuto sembrava dimenticato, come immutabile personaggio secondario della storia dell’abito. Un tessuto che nonostante millenni di invenzioni e riproduzioni resta il fondamento della moda. E ora si riprende la scena e detta le nuove regole del made to surprise.