Dopo l’ultima scesa in campo di Jannik Sinner, giovanissimo tennista italiano n.8 della classifica ATP, a Wimbledon, il tennis è tornato protagonista anche della moda internazionale. Sinner è apparso con un nuovo borsone personalizzato di Gucci, in pelle liscia, con manico rifinito dall’iconica striscia web e loghi su tutte le facciate, riscrivendo così le regole del torneo inglese e della sua storia. Una riscrittura che ha dovuto superare la rigida selezione delle tre associazioni che regolano il gioco internazionale: quella dell’ITF, dell’ATP e degli organizzatori di Wimbledon. Ma non si tratta di un’eccezione, piuttosto di un’opportunità che il torneo del Grande Slam offre alla moda di scendere sul campo, accompagnando il gioco dei suoi tennisti nonché ambassador, ridefinendo le leggi scritte ed immutate da 146anni di match.

Jannik Sinner walks onto Centre Court at The Wimbledon’s Championships carrying a one-of-a-kind custom designed Gucci duffle bag, ph. Antoine Courvecelle

Si instaura così un nuovo dialogo tra moda e sport che prende il nome di “tenniscore”, una tendenza che continua sul cammino di altri due trend social: l’Old Money ed il Quiet Luxury, due estetiche che ricreano il benessere di famiglie aristocratiche, riproducendo ogni parte di quella vita, anche i diletti sportivi. Ma la storia che unisce il tennis alla moda ha origini ben più lontane, riscoperte tra le mura di vecchi Country Club ed esclusivi circoli degli anni ’20.

Catherine Deneuve in “La Belle de Jour”

Si deve tornare indietro, agli ultimi anni dell’Ottocento, quando il tennis cominciava a diffondersi tra l’aristocrazia e si imponeva la prima regola: il bianco come una tinta concessa sul campo da gioco, perché “simbolo di purezza e virtù” come riporta il libro “A Social History of Tennis in Britain” (ed. Routledge). Le prime divise erano simili a quelle da cricket e, se per l’uomo la praticità era un requisito irrinunciabile, per le donne era diverso. Le donne, che avevano il dovere di apparire sofisticate, dovevano confrontarsi con la scomodità di abiti con corsetti, che non permettevano ampie aperture di braccia e movimenti immediati, costrette a rimanere nello stesso spazio di gioco, ma questo non durò a lungo. Quando nel 1887, a Wimbledon, Charlotte Dod vinse il torneo in un abito meno complicato e più ampio, che ricordava la divisa scolastica, gli organizzatori decisero di aprirsi all’innovazione del guardaroba sportivo femminile, con concessioni che riguardavano sopratutto lo spessore delle uniformi, rese più leggere e meno costrittive.

Nel 1920, un’altra innovazione irruppe alla quarta tappa del Grande Slam: la tennista Suzanne Lenglen per la prima volta sostituisce la gonna lunga indossata fino a quel momento con un modello più corto che scopriva una piccola parte delle gambe, ma con la quale poté sostenere il gioco con più scioltezza raggiungendo la vittoria. Il look non solo era di lunghezza più corto, ma anche senza maniche e con un tennis cap, il tutto ideato da Jean Patou. Questa apparizione segnò l’ingresso della moda sul campo, divenendo compagna di gioco. Da allora il pubblico aumentò, incuriosito dai look della Lenglen, ritenuti innovativi proprio perché diversi da qualsiasi altro visto prima, tanto che gli organizzatori del torneo dovettero spostarsi in un nuovo spazio dalla maggiore capienza.

Con l’aumento di pubblico, i brand degli anni ’20 cominciarono a creare collezioni apposite, con attrezzature sportive e accessori in pelle che richiamavano l’esclusività dei Country Club inglesi. Il periodo di massima notorietà del tennis giunse negli anni’ 60, con Martina Hingis e Arthur Ashe, autori dell’estetica tennistica che si conosce adesso. Furono proprio loro ad avvicinare i grandi colossi dello sport come Nike e adidas al tennis, convincendoli a produrre linee complete dedicate. Ed a loro si aggiunsero i nomi del luxury, primo tra tutti Gucci che realizzò il logo Gucci Tennis, applicato su giacche e felpe, poi riapparso nel 2019.

E non solo moda, il tennis era giunto all’attenzione anche dell’alta gioielleria. Negli anni ’20 venne realizzato il primo modello di bracciale ad un filo continuo di diamanti, dal nome “Eternity”, a richiamo della continuità di luce che sembrava non interrompersi al polso. Nel 1987, agli US Open, la tennista Chris Evert, durante una partita perde il suo bracciale di diamanti e interrompe il match per cercarlo. Fu proprio per quell’evento che il modello venne soprannominato “bracciale tennis”.

Katharine Hepburn in “Pat & Mike”

Alle comparse sulla terra da gioco, si aggiungono quelle sul grande schermo cinematografico, con i suoi registi ed interpreti che dedicano allo sport uno spazio sempre maggiore. Come Catherine Deneuve in “Belle de Jour” del 1967, dove appare in un look realizzato da Yves Saint Laurent, con gonna a pieghe, maglia in cashmere e fascetta bianca. Vent’anni prima, nel 1952, un’esordiente Katharine Hepburn in “Pat and Mike”, dove, nonostante interpreti la parte di una giovane donna sportiva dedita al golf, la scena che la ritrae in shorts e maglia bianca giocando a tennis è una delle più copiate del cinema neorealista.

Sebbene adesso il tennis abbia linee realizzate per performare sul campo da gioco, la sua estetica vintage ancora attira a sé l’attenzione dei grandi nomi. La collezione FW 22 di Miu Miu abbatte la distinzione tra la venue di uno show e il campo di un match, con mini giacche tecniche logate, mini skirt da gioco e micro top che portarono le ricerche di “abiti da tennis” ad aumentare del 218per cento su Depop. A Miu Miu si unisce Celine che presenta per la SS 23 una collezione dal nome evocativo: La Collection Tennis. Capi tecnici rigorosamente bianchi con profili nel colore della terra rossa, alla portata di dritto e rovescio. Anche le celebrity diventano interpreti del tenniscore e tra tutte spiccano Miley Cyrus e la sua borsa 80s di Chanel con due racchette ricamate sul davanti e Bella Hadid che ripropone il set gonna e top total white in una veste dailywear dal richiamo nostalgico.

Così il tennis e la moda consolidano il loro legame dentro e fuori il campo, allargando il significato di inclusività. Un’inclusione che ha superato negli anni regole ed imposizioni conservatrici e aperto lo sport all’integrazione.

Se il look sportivo nasce come implemento alla performance, allora il point break lo serve il tenniscore.