Cosa si nasconde dietro un muro di pixel? Una realtà multidimensionale? No, la realtà quotidiana, fatta di comodità e vanità. Da quando nel lontano 1975 venne presentato il primo computer con reticolo pixel firmato Microsft, la concezione comune di realtà ha subito uno sdoppiamento, dividendosi in due parti: la realtà pratica e quella immaginaria del 2.0. Se nella realtà pratica l’uomo si deve confrontare con leggi e regole reali, in quella immaginaria (del digital) l’unica regola è la sua immaginazione. Una capacità che attira l’uomo invitandolo ad entrare nello schermo di computer e telefoni, lasciandosi guidare dalla creatività del possibile. Nasce così il gaming, simulatore di una vita 2.0 a portata di click, dove l’utente si ritrova a muoversi in paesaggi pixelati e loop artificiali.

L’esperienza del gaming diventa negli anni parte irrinunciabile del quotidiano, proprio grazie alla sua capacità di evasione dal reale. Nel 2021, in seguito all’isolamento dovuto all’emergenza sanitaria, il gaming ha assunto il carattere di una seconda vita con più di otto ore di gioco al giorno, complice di questo la creazione del Metaverso, che annulla la distanza tra uomo e computer, confondendone i ruoli. Da allora il gaming diventa ufficialmente una tendenza, diventando parte della quotidiano. Una “controtendenza” che risale al contrario il sistema: dal digitale al reale, scalando vette di pixel per fuoriuscire dagli schermi. Una diffusione, dovuta a una crescita immediata, che si è appropriata del linguaggio comune, delle abitudini personali e sopratutto del costume, creando una moda glitched. Stampe che riproducono distorsioni, interruzioni, loop sfocature, sgranature, macro pixel e tinte neon si impossessano del guardaroba, digitalizzandolo. Un fashion gaming, sul modello di Minecraft, che guida il pubblico verso il futuro, nella transizione tecnologia, grazie alla sperimentazione di forme e pattern nuovi.

Ancor prima della stampa grafica, nel 2014 John Galliano alla direzione creativa di Maison Margiela è stato il primo a parlare di contatto moda-digital con la collezione S/S ’19, con la quale aprì il dibattito tra le molteplici implicazioni del rapporto tra corpo e tecnologia. Galliano fa sfilare abiti accessoriati da porta iPhone su braccia e caviglie che trasmettevano in diretta lo stesso show. Il designer spiegò che quello era solo il principio di un lungo cammino verso la digitalizzazione dell’abito e che lui aveva presentato solamente il primo “aggiornamento di sistema”. E così fu. Ora la moda muta sempre più in un software di ultima generazione il cui uploading più recente è la S/S ’23 con il glitchcore, l’AI e la tecnologia 3D.

Da Loewe a Missoni, le collezioni S/S ’23 si mostrano in un live action di realtà multidimensionali che assumono la forma e la grafica propria dell’AI e grazie al contributo di quest’ultima ridefiniscono il concetto di “collaborazione creativa”, permettendo alla macchina di esprimersi. Il caso più noto è quello di Loewe e i suoi pixel, macro tasselli che ricoprono abiti, top e pantaloni, trasportando la donna del futuro in una partita di Minecraft. Per Jonathan Anderson da sempre la moda è sinonimo di gioco, ma la manipolazione di texture e pattern sul jersey dei look dimostra che questo “game to play” è molto più complesso di quello che sembra. Anche gli stessi fiori, che appaiono su mini dress e scarpe, sono una riproduzione da laboratorio del Anthurium (esemplare di fiore che cresce in luoghi incontaminati) realizzato grazie al supporto dell’intelligenza artificiale ed alla tecnologia 3D. Ma Loewe non è il solo a lavorare sui fiori in 3D, anche Blumarine nella sua S/S ’23 li aggiunge ad abiti e top.

Prada, al contrario, li sovrappone a giacche e abiti aperti creando un giardino fiorito tridimensionale. Un inganno percettivo, proprio del glitchcore, il cui significato è “problema tecnico”, che rimanda alla frammentazione dell’immagine digitale. Un tema d’indagine che porta Filippo Grazioli ad attingere dal glitch impact per frammentare la trama iconica di Missoni, creando una S/S ’23 dall’illusione ottica. Gli abiti in maglia sembrano muoversi sui corpi delle modelle, come se fossero monitor in loop incapaci di definire l’immagine. L’anno prima anche Balenciaga presentò la sua collezione S/S ’22 ad alta frequenza, creando stampe a micro pixel, successivamente apparse nelle collezioni di Paco Rabanne e Arthur Arbesser. I giovani creativi supportati dalle grandi maison si danno al glitchcore reinterpretandolo con lavorazioni in 3D a rilievo, come per Chet Lo che a Londra ridefinisce il rapporto tra spazio e corpo con look sportivi in maglia tecnica, da dove sporgono punte all’infuori.

Ricordando le schermate di Windows dei primi anni 00s, la moda riesamina il progresso tecnologico accogliendo le sfide del futuro. Come? Vestendolo ed immaginando un domani dove macchina e corpo convivono.