Da dieci anni a questa parte, la moda ha instaurato un rapporto circolare tra tendenza e collezioni, in una sorta di equilibrio alternato dove a distanza di un tempo ben preciso vengono riproposti stilemi rinnovati. Alcuni riescono a superare lo scoglio temporale e a riaffermarsi come protagonisti, altri restano agli annali, incapaci di reimporsi sulla scena. Altri ancora non conoscono né tempo né spazio, parlano una lingua propria e ad ogni loro ritorno il successo è assicurato.

Tra tutti, il total leather sembra riuscire in questo arduo compito di innovarsi e rinnovarsi, mutando seppur rimanendo sempre fedele a se stesso. E così il grande ritorno della divisa alla Matrix si impone ancora una volta da New York a Parigi e, da Proenza Schouler a Raf Simons, i grandi nomi sembrano riscrivere la sceneggiatura e rivisitare i costumi della pellicola avanguardista avvicinandoli alla realtà. “Matrix è ovunque.

È intorno a noi”, recita una battuta della celebre pellicola, dove tra long coat in pelle rigorosamente neri e stivali alti, i protagonisti si muovono in una realtà bidimensionale, la stessa che i brand ripresentano ora per la F/W 22-23, tra fodere di aviator 60s alla Prada e abiti strutturati dalle lunghezze trattenute alla Coperni.

Balenciaga il capostipite contemporaneo che guida il pubblico in una riscoperta della pelle e per Demna Gvasalia sembra esistere solo quella nera, dal sapore postbellico, che va ad enfatizzare le forme esili di modelle e modelli. La pelle per Balenciaga è un richiamo alla parte più nascosta dell’uomo ovvero la pelle umana, che nonostante sia sempre ben in mostra non viene quasi mai osservata. Così Gvasalia va a rivestirla di pelle lucida, in un’apparente contraddizione visiva di “pelle su pelle” tra cappotti oversize e giacche dal taglio boxing. Al contrario, Vaccarello per Saint Laurent fa un uso diverso della pelle, la usa come accezione velata ad un erotismo volutamente mancato, presentando una collezione avvolgente tra long black dress e giacche oversize.

Anche Louis Vuitton lavora sul corpo, ma sulla sua struttura fisica, dando al pubblico una lezione di architettura e scultura in rigida pelle multicolor. Prada e Miu Miu attingono al alla divisa dell’aviator, più precisamente a quella della prima donna ad aver sorvolato l’Atlantico in solitario, Amelia Arhart, con pantaloni multipocket e flight jacket accorciato, a sostegno di un empowerment femminile che fa della pelle un segno di moderna emancipazione.

 

E se la pelle è, con la sua moltitudine espressiva, sinonimo di sperimentazione, allora Fendi, con i suoi look a livelli ne reinterpreta l’utilità. Un’utilità che si avvicina al workwear per Bottega Veneta, in un rosso cupo che ricorda la freddezza dell’industria ed un viola a contrasto che, al contrario, rimanda alla spontaneità.

Mille estensioni di un tessuto sempre più prezioso, che, collezione dopo collezione, acquisisce spazio, come “materia posta al servizio dell’idea, capace di assumere ogni forma e custodirne la staticità” a ricordo delle parole di Mugler. Un ritorno, quello della pelle, che non sa tanto di come back (perché è sempre stata lì), ma più di un riposizionamento tra i più alti dettami della moda, dimostrazione che non importa come, purché sia “leather more than ever”.