Ci sono loro dietro ad alcune delle hit più ballate e ascoltate degli ultimi anni, Federico Mercuri e Giordano Cremona (figlio di Raul Cremona), in arte Merk & Kremont. Nel 2014 sono stati inseriti nella classifica dei “Top 100 Dj” al 94esimo posto e, poi, sono arrivati i dj set nei locali più cool del mondo e le collaborazioni con artisti internazionali, il primo è stato Bob Sinclar, fino alle certificazioni platino che si sono guadagnati. Da “Hands Up” (feat. DNCE), a “Andiamo a comandare” di Rovazzi, fino ai più recenti “Farlafalle” di Sangiovanni e “Tribale” di Elodie, solo per citarne alcuni. Da qualche giorno è uscito il loro ultimo brano “Touch” e sono in tour in tutto il mondo…

Parliamo subito di “Touch”, che cosa racconta, cosa lo rende speciale?
“Touch” è un brano che racconta il desiderio di tornare a toccarsi dopo due anni di isolamento, in cui non c’è stata la possibilità di interagire. Con questo pezzo  abbiamo voluto esprimere in pieno la voglia di tornare a viversi e a fare festa.

Siete nel bel mezzo del vostro summer tour, come sta andando?
Siamo appena tornati da Tokyo ed è stato molto rinfrescante tornare a vivere altre scene musicali al di fuori di quella italiana, siamo molto contenti di poter tornare a girare tutto il mondo. In particolare, sentiamo una forte atmosfera di rinascita nella cultura club, in tutti i Paesi dove suoniamo percepiamo una forte curiosità e voglia di ascoltare nuova musica.

Avete fatto tappa anche in Kosovo per il concerto benefico organizzato da Dua Lipa, cosa si prova ad essere chiamati da un’artista del suo calibro?
In realtà è già la seconda volta che veniamo chiamati per suonare a questo festival in Kosovo, ovviamente Dua Lipa è una delle nostre artiste preferite del panorama internazionale ed è un grandissimo onore potersi esibire lì. Soprattutto poi per lo scopo benefico e la consapevolezza di contribuire a fare del bene.

Raccontateci qualcosa di voi, come nasce la vostra passione e come vi siete avvicinati alla musica?
Merk: Nel mio caso, la passione per la musica nasce da mio padre, che mi faceva ascoltare brani e CD di Earth, Wind & Fire e dei Jamiroquai. Da lì ho iniziato poi a suonare come dj e quindi ad appassionarmi alla musica elettronica.
Kremont: Per me, la passione per la musica nasce molto presto, perché i miei genitori mi hanno mandato a lezione di pianoforte da quando avevo sei anni. Poi, mio cugino, Eddy Veerus del Pagante, non so bene per quale motivo mi chiese di produrgli delle basi hip-hop dal momento che sapevo suonare il pianoforte. In realtà, non esiste una vera e proprio correlazione tra le due cose, ma da lì a poco ho imparato a produrre musica.

E il vostro duo? Da quanto vi conoscete?
Kremont: Ci siamo conosciuti tramite un amico in comune che suonava e ci ha chiesto se volessimo provare a fare una traccia insieme, da lì ci siamo trovati molto bene nella cantina di Fede adibita a studio, trovando presto il perfetto stile di produzione pur avendo diversi background.

Avete una cifra stilistica particolare? Qualcosa che inserite sempre nei brani che producete e che vi potremmo considerare il vostro marchio di fabbrica?
Noi approcciamo ogni traccia con una spirito nuovo, cercando di non creare degli schemi ricorrenti, ma le persone che ascoltano la nostra musica spesso ci dicono che tra gli elementi più identificativi percepiscono una grande ricerca nel groove e nella cura del suono. Parte di questo risultato nasce sicuramente dalle influenze musicali con cui siamo cresciuti.

Dopo il successo di “Hands Up”, il tormentone dell’estate 2018, è cambiato qualcosa nelle vostre vite?
In realtà no, non abbiamo mai perso la voglia di andare in studio tutti i giorni, anzi, forse oggi ne abbiamo più di prima! Onestamente non ci sentiamo né arrivati né appagati, senza dubbio è un grande piacere aver dato vita ad un brano che ha riscosso così tanto successo a livello internazionale.

Vi occupate della produzione di brani per altri artisti e producete anche brani vostri, cosa cambia? E con cosa vi sentite più a vostro agio?
Nel produrre musica per il proprio progetto artistico, spesso, si è naturalmente portati a pensare di dover accontentare in primis i propri fan, mentre quando si produce per altri artisti si è più sollevati da questa responsabilità. Ovviamente si cerca di fare il massimo, ma le uniche persone che devono essere soddisfatte sono gli artisti per cui stiamo producendo e noi stessi.

Avete lavorato con moltissimi artisti, Ghali, Elodie, Sangiovanni… Ci raccontate qualche aneddoto?
La prima volta che abbiamo conosciuto Ghali eravamo ancora nella cantina di Fede in cui mancava l’aria condizionata e con un ventilatore mezzo scassato, abbiamo sempre saputo che Ghali fosse una persona molto attenta all’estetica e al suo modo di vestirsi e quel giorno abbiamo sofferto per lui, perché era vestito molto bene e noi eravamo senza maglietta. Quando Elodie è venuta in studio per lavorare a “Tribale”, invece, abbiamo scoperto chiacchierando che siamo tutti cresciuti ascoltando i set del Diabolika… chi sa di cosa sto parlando capirà.  E, poi, dovete sapere che “Farfalle” di Sangio è stata lavorata e chiusa da remoto nei giorni di Natale, avevamo fissato delle sessioni, ma eravamo positivi al Covid, ma dovevamo finirla il prima possibile per consegnare le partiture del Festival di Sanremo.

Cosa pensate della scena musicale attuale? C’è fermento?
Sì, soprattutto nella scena club italiana da cui nasciamo, notiamo che c’è tanto desiderio di ascoltare nuova musica club, in particolare dance e questo sentimento si riflette nelle produzioni che stiamo realizzando per noi e anche per altri.

C’è qualcuno o qualcosa a cui vi ispirate nel vostro lavoro?
Siamo continuamente ispirati da avvenimenti e/o situazioni che si trovano anche al di fuori della musica. Ci piace molto viaggiare e molto spesso andiamo a scrivere e produrre musica con autori esteri in altri Paesi. Ad esempio, “Tribale” di Elodie è nata a Fuerteventura, mentre prendevamo lezioni di surf.

Domanda di rito: con quale artisti vorreste poter collaborare?
Calvin Harris, Zedd e Swedish House Mafia.