Per accezione comune la fotografia è uno strumento capace di immortalare una scena e di custodire quell’immagine come un ricordo vivido, abile nel parlare una lingua personale che sembra inventarsi nel momento esatto in cui questa, cioè la foto, viene mostrata a qualcuno. Così la fotografia si impreziosisce di nuovi gesti, che seppure apparentemente immediati, nascondo uno studio complesso.

Hans Berger per primo si servì della fotografia per imparare, per conoscere e poi per narrare quello che aveva visto dietro un obiettivo in continuo movimento. Una fedele compagna di viaggio tra l’Europa e l’Asia, che approda sulle spiagge lontane di isole interiori, come chiamava il suo amico e scrittore francese Herve Guibert le terre d’Oriente, restituendo con questa definizione un’immagine intima di viaggio, quella stessa immagine che Berger catturerà e farà sua. Da questo nasce la mostra “The Learning Photographer”, in corso alla 29 Arts in Progress Gallery di Milano, dove, con più di trenta opere stampate ai sali d’argento su carta baritata, lo spettatore si ritrova a camminare tra foto in bianco e nero dall’intensa sincerità emotiva.

Un’esposizione per ricordare e rivivere cinquant’anni di attività e lunghi viaggi dell’artista che lo hanno accompagnato tra pianure esotiche e mari inesplorati. Il percorso espositivo muta in un diario di viaggio di poche pagine, capaci di richiamare ricordi e profumi come se chiunque conoscesse già quei luoghi. Una precisa selezione di scatti che mostrano una onestà intellettuale smisurata: spoglie di tutto, anche dello stesso colore, gli scatti si presentano come nudi interpreti del reale e delle sue forme, dei suoi costumi e tradizioni. Una “fotografia condivisa” che coinvolge il suo pubblico, non più solo recluso ad una posizione di lontano ammiratore, ma di componente stessa dell’opera. Berger instaura un nuovo legame tra fotografia e soggetto e, per un certo motivo, è proprio il pubblico ad essere il tramite di congiunzione dei due mondi comunicanti.

Da foto raffiguranti la sensualità di corpi nudi a letti disfatti, passando per ritratti orientali, la fotografia di Hans Berger esprime un desiderio di evasione che spinge ognuno a rivalutare la distanza che esiste tra l’uomo ed il suo prossimo, e di quanto quest’ultimo abbia percorso strade diverse.

Nasce da questa mostra il desidero di perdersi tra le mura della galleria ospitante come se fossero le mura di villaggi secolari laotiani, facendo riflettere su culture non tanto nuove quanto diverse e autentiche.

Il viaggio intrapreso da Hans Berger non prevede una meta, ma solo dei passaggi da dover compiere per poter conoscere e conoscersi. E se la spedizione prevede un’andata, ma non un ritorno, allora, questa mostra non è altro che un primo atto di una narrazione visiva in fase di continuo ampliamento.