Ventisette artisti provenienti da Paesi, culture e contesti diversi sono stati chiamati da Fondation Cartier pour l’art contemporain per raccontare attraverso il loro linguaggio espressivo nuovi punti di vista sulla contemporaneità. E, in particolare, su un tema comune: la necessità di ripensare il ruolo dell’uomo all’interno dell’universo dei viventi. Nasce così Siamo Foresta, una retrospettiva allestita fino al 29 ottobre 2023 al primo piano del Palazzo dell’Arte di Triennale Milano, realizzata con la direzione artistica dell’antropologo Bruce Albert e del direttore artistico della Fondation Cartier Hervé Chandès, con allestimento a cura dell’artista Luiz Zerbini.

“Siamo Foresta mette in scena un dialogo senza precedenti tra pensatori e difensori della foresta, tra artisti indigeni – dal New Mexico al Chaco paraguaiano passando per l’Amazzonia (Brasile, Perù e Venezuela) – e artisti non indigeni (Brasile, Cina, Colombia e Francia)”, spiega Bruce Albert. “Siamo Foresta trae ispirazione da una comune visione estetica e politica della foresta come multiverso egualitario di popoli viventi, umani e non umani e, come tale, offre una vibrante allegoria di un mondo possibile al di là del nostro antropocentrismo”, prosegue. “Fin dalle sue origini, la tradizione occidentale ha diviso e gerarchizzato gli esseri viventi secondo una scala di valori di cui l’essere umano costituisce l’apice. Questa supremazia dell’umano ha progressivamente allontanato l’umanità dal resto del mondo vivente, aprendo così la strada a tutti gli abusi di cui la distruzione della biodiversità e la catastrofe climatica contemporanea sono il risultato. La filosofia delle società indigene americane, invece, ritiene che gli essere umani e non umani – animali e piante – pur distinguendosi per l’aspetto dei loro corpi, siano profondamente uniti dalla stessa sensibilità e intenzionalità. Per loro, quindi, le comunità umane e non umane costituiscono un complesso multiverso di popoli che convivono, su un piano di uguaglianza a costo di compromessi reciproci, all’interno di una stessa entità vasta e vivente, la ‘terra-foresta-mondo'”.

 

La scenografia 
Per questa speciale mostra, l’artista brasiliano Luiz Zerbini ha dato vita ad un progetto espositivo continuo che enfatizza le connessioni emotive, le affinità stilistiche e concettuali esistenti tra le opere. La foresta in questo spazio espositivo non rappresenta più un elemento estraneo alla città e alla cultura, ma il luogo in cui si celebra l’incontro tra le culture e in cui gli artisti possano rivendicare l’unità del Pianeta attraverso la loro idea di foresta. Oltre ad occuparsi dell’unione di opere notevolmente differenti tra loro, Zerbini porta letteralmente la vegetazione nello spazio espositivo. Ne è una dimostrazione la grande installazione “Natureza Espiritual da Realidade”, un’opera appartenente alla Collezione della Fondation Cartier, che vede protagonista un grande tavolo in cui è posto un albero al centro, su cui sono esposti alcuni oggetti trovati in loco. Così come “Piccola Foresta Sognata”, una nuova opera ideata ad hoc per questa esposizione, composta da passerelle circondate da specie vegetali e tropicali. Ma non solo.
Con la volontà di creare un dialogo continuo tra spazio interno ed esterno, Luiz Zerbini ha rivestito, inoltre, di filtri colorati il soffitto dello spazio espositivo della Triennale, con l’obiettivo di creare un gioco di luci – come raggi che penetrano in una fitta vegetazione – che si rifletta sull’installazione che il visitatore è invitato a percorrere.

Ho accettato la sfida di contribuire alla creazione di questo progetto e già dalle prime ore di lavoro, analizzando le piante dell’edificio, ho scoperto che negli spazi di Triennale c’erano dei lucernari inutilizzati. Da questa scoperta, che ha trasformato radicalmente le possibilità del progetto, è nata l’idea di portare la luce naturale all’interno dell’esposizione. Con la presenza della luce, diventa possibile inserire piante vive che interagiscono con le opere. La possibilità di camminare tra le opere d’arte e le piante rende ‘Siamo Foresta’ non solo una mostra, ma un’esperienza unica”, ha affermato Luiz Zerbini.

Tra sogno e realtà, geometria e proliferazione, i paesaggi di Luiz Zerbini sono una sorta di foresta urbana, dove è difficile capire se è la foresta ad avere il sopravvento sulla città o viceversa. I dipinti, le fotografie, le incisioni e le installazioni realizzate dall’artista sono caratterizzati dall’interesse per il paesaggio e la botanica e dall’uso di una palette multicolore, presentando un dialogo serrato tra astrazione, geometria e figurazione. Zerbini rivisita anche il genere della pittura storica in modo critico, presentando eventi importanti nella storia della colonizzazione portoghese o la contemporanea espropriazione delle terre indigene in Brasile.

 

Lungo il percorso espositivo, agli elementi vegetali, si alternano incisioni, fotografie, dipinti e disegni, come quelli dell’artista brasiliano yanomami André Taniki che raffigurano gli spiriti della terra-bosco, le grandi sagome di bromelie sudamericane ad opera del giovane brasiliano Santidio Pereira o le due grandi tele dipinte e disegnate a quattro mani da Sheroanawe Hakiihiwe e Fabrice Hyber – il duo da cui è nata l’idea di realizzare la mostra “Siamo Foresta” durante la permanenza nella foresta francese chiamata “La Vallée”, accanto a opere realizzate da ciascuno dei due artisti. Ma non solo.

Il risultato è un invito all’esplorazione attraverso installazioni viventi, opere d’arte, giochi di luce e specie vegetali. Quest’ultime, selezionate grazie alla collaborazione con il botanico Stefano Mancuso, rappresentano il paesaggio immaginario creato ad hoc da Luiz Zerbini che accompagna il visitatore dall’inizio alla fine, superando il confine tra l’architettura della Triennale e l’ambiente circostante. “Siam Foresta” è solo l’ultima delle svariate collaborazioni tra Luiz Zerbini e Fondation Cartier pour l’art contemporain.

Quando presi parte alla prima edizione della mostra ‘Nous les Arbres (Trees)’ alla Fondation Cartier di Parigi nel 2019, ho percepito una sorta di incanto tra gli artisti che partecipavano all’esposizione. Nel progetto furono coinvolti artisti, scienziati e filosofi di diversi settori. Tra di noi si stabilì una certa complicità, una certezza, un’unanimità silenziosa: tutti, ognuno a modo suo, fecero capire che la grande star della mostra, la ‘musa’, l’essere sotto i riflettori a cui si rendeva omaggio era l’albero. Fu come se ognuno avesse l’opportunità di dimostrare amore e rispetto per la natura attraverso il proprio lavoro. Eravamo consapevoli dell’importanza e dell’urgenza di attirare l’attenzione sul dibattito sulla conservazione di tutte le foreste del mondo, per onorare la loro bellezza, la loro enorme fonte di ricchezza e di conoscenza, e per mostrare la nostra totale dipendenza fisica e spirituale da esse”.