“Sono diventato un pittore perché volevo elevare la pittura a un elemento fondamentale come la musica e la poesia” – Mark Rothko
Fondation Louis Vuitton accoglie l’artista Mark Rothko nei suoi spazi al numero 8 di Avenue du Mahatma Grandhi Bois de Boulogne, a Parigi. Prima retrospettiva in Francia dedicata a Rothko, dopo quella del Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris del 1999, la nuova mostra – allestita fino al 2 aprile 2024 – presenta circa 115 opere che, attraverso un itinerario cronologico, ripercorrono l’intera carriera dell’artista: dai primi dipinti figurativi a quelli più recenti e astratti. Capolavori provenienti dall’archivio di famiglia così come da collezioni istituzionali e private internazionali, come la National Gallery of Art di Washington e la Tate Gallery di Londra, ma non solo.
Dalle scene intime ai paesaggi urbani come quelli di New York, dai miti antichi al surrealismo, attraverso il quale si esprime la dimensione tragica della condizione umana durante la guerra. La retrospettiva fa poi tappa nel repertorio dedicato all’astrazione, con la serie “Multiformes”, in cui masse di colore sospese tendono a bilanciarsi tra loro. Gradualmente il loro numero diminuisce e l’organizzazione spaziale della sua pittura si evolve rapidamente verso le opere “classiche” degli anni Cinquanta, in cui le forme rettangolari si sovrappongono in un ritmo binario o ternario, caratterizzato da toni di giallo, rosso, ocra, arancio, blu e bianco.
Eccezionalmente incluso nella mostra, inoltre, il gruppo di dipinti che Rothko realizzò su richiesta per il ristorante Four Seasons progettato da Philip Johnson per il Seagram Building. Un lavoro che l’artista iniziò, ma che non portò a termine, tenendosi l’intera serie. Decise poi di vendere undici di questi dipinti alla Tate Gallery, distinguendoli dai precedenti per le loro tonalità di rosso intenso e creando una sala delle collezioni dedicata esclusivamente al suo lavoro.
Il costante interrogarsi di Mark Rothko, il suo desiderio di un dialogo senza parole con lo spettatore e il suo rifiuto di essere visto come un “colorista” consentono a questa mostra di offrire una nuova lettura del lavoro dell’artista, in tutta la sua reale pluralità.