C’è un momento, poco prima che il sole scompaia dietro le mura, in cui Marrakech sembra cedere. Non è una pausa scenografica, né un calcolo estetico: pare, piuttosto, una stanchezza di fine giornata, come se la città, si dimenticasse di sé e di quell’immagine concitata che tutti le attribuiscono. Le botteghe socchiudono le porte di legno screpolato per pochi minuti, i passi nei vicoli si fanno più lenti, i mercanti smettono di inseguirti con le loro voci. È un attimo solo, in cui sembra che tutto – il rumore, i profumi, gli sguardi, le voci – si raccolga dentro un silenzio appena percettibile.
Un istante quasi sfuggente. Poi tutto ricomincia, senza avvisare, e la città riparte in un’ulteriore accelerazione. In fretta vengono rialzate le saracinesche, e in piazza Jemaa el-Fna si montano banchi di fortuna illuminati da lampadine appese a fili precari. Così si trasforma ancora, ogni sera uguale e ogni sera diversa: griglie fumanti, pentole enormi che borbottano lentamente, incantatori di serpenti sistemano le loro ceste tra la folla, uomini con scimmie al guinzaglio si preparano a farsi fotografare dietro un prezzo, in coreografie da un’etica incerta. La città torna a vivere con una fame più grande di prima, riempiendo ogni spazio di odori, voci e presenze.
Fondata nel 1062, la Città Rossa deve il suo nome al colore delle mura in pisé. Per secoli è stata crocevia di carovane e punto d’incontro tra il deserto e l’Atlantico. Oggi è anche una vetrina globale, dove il fascino dei souk convive con un turismo frenetico. Nelle strade più battute, file di botteghe vendono lampade intarsiate, ceramiche lucide, ceste di spezie ordinate come quadri: zafferano, cumino, paprika; i venditori sanno raccontarle come fossero storie, anche se spesso non ti lasciano il tempo di ascoltare davvero.
Marrakech però non è tutta qui. Tra le viuzze della medina più lontana dai percorsi segnati, l’aria sa di terra e non più di spezie. È il respiro della città che si nasconde dietro ai soliti racconti. Marrakech è una città che si lascia trovare nei cortili dietro le famose concerie, tra panni stesi e gatti magri, dove le conversazioni tra vicini sono più forti dei rumori del mercato. Nei vicoli, il profumo non è di cannella, ma di farina bruciata, di cuoio fresco, di menta. Ogni muro racconta storie senza voce, ogni porta chiusa promette un mondo che spierai da fuori pensando di capirci qualcosa.
Non c’è più piazza Jemaa el-Fna, qui. C’è una piazzetta qualsiasi, dove le biciclette si appoggiano ai muri e gli anziani contano le ore senza fretta, scandendole con le preghiere. I giardini non sono Majorelle: sono i piccoli cortili che si intravedono dietro i portoni socchiusi, i riad non sono eleganti: sono case vissute, spazi raccolti attorno a fontane rotte, dove il profumo d’arancio si mescola all’umidità delle mura. Eppure, qui, Marrakech è più viva.
Guida a Marrakech: ristoranti
Le Tobsil
Si raggiunge attraversando vicoli bui e silenziosi. Una porta si apre e ti ritrovi in un riad antico, illuminato da centinaia di candele. Il menu è fisso, i piatti si susseguono come una piccola cerimonia. È un’esperienza che non parla di quantità, ma di intensità.
Otto
Un rooftop elegante, vista sui tetti della medina che al tramonto diventano rossi. La cucina è un mix tra Italia e Marocco: pasta con spezie, verdure grigliate con un tocco mediterraneo. È un luogo in cui la città sembra sospesa sotto di te.
Sahbi Sahbi
Gestito interamente da donne, ha un’energia diversa: calda, accogliente, potente. L’arredamento è semplice ma raffinato, i piatti sono tradizionali e cucinati con cura. Il cibo qui è anche un racconto di identità.
Petanque Social Club
Un cortile all’aperto, tavoli bassi, gente che gioca a petanque con un bicchiere in mano. Un posto senza formalità, dove Marrakech sembra più mediterranea che africana.
Project: Sofia Spini e Giorgia Calia @sofispini @giorgiaacaliaa
Words: Giorgia Calia @giorgiaacaliaa
Digital Director: Giulia Pacella @giupac79