“Il tempo parlerà per me”, disse in un’intervista del 1951 Coco Chanel , che era solita associare la sua figura a quella di un orologiaio dell’abito.

“Quello che riusciva a fare Chanel, era dare valore al tempo della donna”, disse l’autore biografico John Cal, che aveva narrato l’impresa della maison parigina nel trovare un nuovo erede al termine dell’era di Karl Lagerfeld, il geniale creativo che in un certo senso aveva concordato con il tempo una sorta di tregua, al fine di consegnare alla storia il nome Chanel. Ci vollero più di trent’anni per permettere allo storico direttore creativo di dimostrare la longevità della maison, tra show avanguardisti e collezioni autoreferenziali. In questo lungo periodo, la mano creativa di Lagerfeld non era la sola a ritrarre il volto moderno del brand, ma vi era quella della studio director Virginie Viard – definita dallo stesso Lagerfeld “la sua sinistra” – a tracciare il futuro dell’impero di rue Cambon. Così alla scomparsa Karl Lagerfeld nel 2019, la Viard, ormai 56enne, raccoglie l’incarico di direttrice creativa, per condirre Chanel verso un’apparente leggerezza espressiva, in accordo con il nuovo concetto di luxury datato 2020s.

La allora neo direttrice creativa Viard inizia a muoversi da subito nella metropoli digitale del lusso, dove la tradizione convive con l’innovazione, introducendo per prima il concetto moderno di tendenza nel brand. Se la maison fino ad allora era un satellite del lusso che orbitava lontano dalla viralità del fashion, con Virginie Viard anche Chanel raggiunge i micro e macro trend. Così il revival degli anni ’80, viene rielaborato dalla creativa nella collezione Resort 2020, con i tight pants logati, che ricordano i look di Jane Fonda, abbinati all’iconica giacca allungata fin sotto la vita, che ha rappresentoato la prima silenziosa quanto simbolica innovazione apportata dalla designer nel guardaroba di Chanel.

La scenografia, anche questa simbolica: una stazione dei treni a rappresentare il principio di un nuovo viaggio. A rimanere la stessa è la tinta delle mura della maison, quel bianco e nero che affrescano la cattedrale gotica di Chenonceau dove prende vita la collezione Pre-Fall 21, tra il gothic lace delle gonne e i rigorosi ricami delle camice, a tributo della divisa storica della fondatrice. Una coppia di contrasti che accompagneranno la Viard fino alla SS 21, quando lo swimwear diviene prèt-â-porter. Costumi da bagno incorniciati da micro cinte dorate con logo pendente e prominenti collane per un utilitywear a più usi, proprio come le borse dove la tendenza è protagonista: a volte sovrapposte, a volte divise, ma pur sempre in coppia come vuole la tradizione della double bag goffrata Chanel.

Dalla praticità quotidiana alla formalità sartoriale della FW 22, che riporta l’attenzione sulle proporzioni di long coat e high boots. In guisa di cappotti, giacche, abiti e coat dress, la collezione è un omaggio al tweed che Virginie Viard ha definiito “sensoriale”, per le sue nervature fatte di fili che agevolano il movimento custodendo il corpo in spessi lembi di tessuto. L’iconica lavorazione lascia spazio al corpo nella SS 23, dove la leggerezza degli abiti guida lo sguardo dello spettatore in una nuova era per la maison, dove l’austerità non è occlusiva, ma maturità espressiva. La stessa che poi si ritrova un anno dopo con la SS 24, quando il treno sul quale si era saliti con il primo show diviene una barca alla marinière, a bordo della quale trovano spazio le righe di ogni forma e spessore stampate su long skirt e top rigorosamente logati.

La storia della maison continua a navigare il mare quieto del lusso. Un mare, quello di Chanel, che non conosce tempeste sia in termini profittevoli che in quelli creativi. E del quale resta ad ora solo conoscere il nome del suo prossimo timoniere.