È ospitata nella cornice suggestiva e pop della Galleria del Palazzo – Enrico Coveri, la nuova retrospettiva “Primate Collection S/S 23” di Simone Fugazzotto, allestita fino al 13 ottobre 2022 nella Galleria di Lungarno Guicciardini. Considerato una delle personalità del panorama dell’arte contemporanea, Simone Fugazzotto porta in mostra lo specchio della realtà umana, interpretato dalle scimmie, protagoniste esclusive delle sue opere. E lo fa in modo ironico, divertente e straordinariamente sfrontato, un linguaggio che rappresenta ormai la sua cifra stilistica.
A raccontarci il behind the scenes della nuova mostra, a cura di Luca Beatrice, è lo stesso artista che, attraverso il suo inconfondibile stile, coglie l’occasione per invitare le persone a non prendersi mai troppo sul serio (il nome della mostra dice tutto) ma, al contrario, ad approcciare la vita con leggerezza e, soprattutto, a inseguire le proprie passioni con quella giusta dose di perseveranza e tenacia che, secondo Fugazzotto, non dovrebbero mai mancare.
Ciao Simone, vuoi essere tu a presentarti?
Quando mi rivolgo ai ragazzi delle varie scuole a cui faccio visita, mi presento come una persona che ci ha creduto molto, sicuramente il talento ha contribuito, ma al di là di questo, ho capito in modo concreto quale fosse la mia passione e sono andato dritto per la mia strada nonostante non abbia mai ricevuto aiuti. Per una decina di anni, nessuno mi ha preso in considerazione, non compravano i miei quadri, non mi facevano fare le mostre, insomma, non generavo interesse, ma io non ho mai mollato.
E poi?
Poi mi sono trasferito a New York, dopo aver abbandonato l’Accademia di Belle Arti, che è stata per me una grande delusione.
Come mai? Cosa è successo?
Ora credo sia cambiata, ma all’epoca valeva la citazione “Chi non sa fare, insegna. Chi non sa insegnare, insegna ginnastica”. Ovvero, nell’Accademia che ho frequentato, c’erano artisti che non riuscivano ad avere successo e quindi insegnavano, ma erano frustrati. Quello che imparavo era una sorta di “arte della frustrazione”, del non riuscire, questo aspetto l’ho detestato. Una cosa buona, però, c’è stata, in Accademia ho conosciuto Luca Beatrice, al tempo l’unico dei miei docenti che ho realmente apprezzato. Anche grazie a lui, ci ho sempre creduto e non ho mai mollato.
E questo è senz’altro un bel messaggio, a volte è più facile arrendersi.
Esatto, il più delle volte siamo noi i primi a trovare una giustificazione per tutto, abbiamo attorno tante persone che credono poco in loro stesse, ma se tu ci credi, ce l’hai fatta. Io, dal canto mio, sono una testa dura, sono sempre andato a mille, non ho mai cambiato idea nemmeno quando la vita mi remava contro.
Che cosa ci dobbiamo aspettare da “Primate Collection S/S 2023”?
Quello che tento di mostrare attraverso questa retrospettiva è una sorta di ritratto di quello che siamo noi umani, il 90% delle scimmie che ritraggo nelle mie opere rappresentano l’essere umano, le sue debolezze, le sue gioie quotidiane, le sue passioni e molto altro. Credo che i visitatori potranno scoprire una sorta di autocritica, ci si può facilmente ritrovare in queste scimmie, perché mostrano tutta una serie di gesti che noi “scimmiottiamo” quotidianamente. Il tutto attraverso una chiave ironica, perché per me l’ironia è alla base del mio lavoro, mi annoio profondamente con tutto quello che è concettuale e impostato e spero che chi viene a vedere la mia mostra possa divertirsi. Ci sono tanti colori ed elementi a dir poco assurdi, ma vivo di questo, perché io stesso, quando vado a vedere una mostra, voglio divertirmi e lasciarmi travolgere.
Qual è l’opera esposta che ti rappresenta maggiormente?
“Only God Can Judge Me”, ovvero quella con il cappuccio, altro non è che la mia raffigurazione con la mia felpa. Un’opera, invece, che sento particolarmente vicina è “Cozy Quarantine”, realizzata durante il lockdown. Vi racconto un aneddoto: di solito lavoro su carta da parati, perché secondo me noi siamo “scimmie da salotto”, le nostre gabbie sono rappresentate dai nostri salotti tutti addobbati. Per questo motivo, la carta da parati risulta sempre molto efficace, mentre, al contrario, su quel tipo di carta su cui alla fine ho realizzato il quadro, inizialmente non riuscivo ad immaginare nessuna opera, seppur si trattasse di un materiale pregiato. Per questo avevo deciso di portarla via dal mio studio di Milano e di tenerla a casa mia, fuori città. Durante il lockdown, non ci si poteva spostare dal proprio comune e il destino mi ha fatto ritrovare quella carta che tempo prima avevo scartato e che raffigurava una gabbia, una gabbia raffinatissima che rappresentava esattamente quello che stavamo vivendo in quel momento. Questo quadro, quindi, è un autoritratto del mio terrore provato in quelle settimane. Mi sentivo in depressione, stavo attraversando un periodo d’oro per la mia carriera e di lì a poco sarei dovuto andare da Sotheby’s New York. E, invece, si è fermato il mondo. Il quadro, perciò, raffigura una scimmia dallo sguardo terrorizzato, all’interno di una gabbia che in realtà rappresenta la sua casa, una gabbia dove ci sono tutti i comfort.
Come nasce un tuo quadro e quanto tempo ci impieghi per la sua realizzazione?
Il tempo di realizzazione è sempre un punto di domanda. Un’opera come “Trashimboldo” è complicatissima da realizzare a livello tecnico, eppure, quando mi ci sono messo, si è incastrato tutto alla perfezione e ci ho impiegato cinque giorni. Può capitare, però, che un’opera ti volti le spalle, ma sai che non lo fa senza motivo, ce n’è sempre uno, e per realizzare quell’opera, che tecnicamente sarebbe semplice, ci impieghi un mese, ma capisci che c’è un significato dietro a tutto questo.
Un esempio?
Un esempio è l’opera che ho realizzato in omaggio a mia figlia, “Moonlight”, in cui è presente un semaforo ricoperto di tre fiori, uno verde, uno giallo e uno rosso. Ho incluso il rosso, perché anche il segnale negativo, può essere un segnale positivo se sai interpretarlo e a me affascina tutto questo processo di creazione e sviluppo di un’opera, io vivo di questo. Come nasce un’opera? Beh, questo è un grande mistero. Ultimamente, però, attingo molto dai film, da un momento preciso o da un dialogo. Prima della pandemia non accadeva, è come se la mia creatività avesse dovuto trovare un altro appiglio e probabilmente la forma d’arte che avevo a disposizione in quel momento era il cinema e così mi ci sono aggrappato e tuttora vivo di questo.
Qual è il tuo più grande nemico?
Potrei dirti le personalità impostate del mondo dell’arte, non le sopporto. Motivo per il quale tengo molto a raccontare il mio percorso ai tanti ragazzi delle università che incontro e che vogliono lavorare nell’arte. Io sono la dimostrazione che sì, ho avuto una galleria quando ero ragazzino, ma ho capito che con la galleria è un matrimonio impari, in cui tu prometti fedeltà e la galleria ti “cornifica” con altri quindici artisti e l’attenzione che ti può dare è un quindicesimo. Perciò, mi sono detto: “Io questa cosa la so fare da solo e la faccio addirittura meglio se mi organizzo con un team”, così ho deciso di creare il mio mercato dell’arte senza rispettare nessuna regola.
E la tua forza?
I social, perché anche in quel caso evito l’intermediario, che è quello che ti taglia le gambe se non hai una galleria. Mi divertono molto i social, parlo un linguaggio ironico e leggero, un modo secondo me intelligente per far riflettere prendendosi un po’ in giro. Siamo circondati da troppa sovrastruttura, ci vantiamo sempre di quanto siamo fighi, ma non dimentichiamoci mai che siamo delle scimmie! Ci nascondiamo, ma siamo in fin dei conti degli animali. Poi, certamente, per stare al mondo ci vuole un certo decoro e, infatti, le mie scimmie stanno a metà, in perfetto equilibrio. Passando dalla scimmia completamente rilassata, che rappresenta ognuno di noi quando torna a casa, si butta sul divano e se ne frega del resto del mondo, a quella impostata in tuxedo. Sono divertenti, siamo divertenti, andiamo sempre alla ricerca di qualcosa che ci possa ispirare ma, alla fine la maggiore ispirazione siamo noi stessi. E e mi fa piacere quando gli influencer ripostano le mie opere, prendendosi in giro, perché ne hanno compreso il vero significato.