FASHION

Temple of Love

AUTOPORTRAIT, LAS PALMAS AVE, 2002 © RICK OWENS
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Arte, moda e letteratura. Dai maestri della corrente giapponese come Rei Kawakubo e Issey Miyake all’architettura brutalista del tardo Novecento, Rick Owens fonda la sua narrativa estetica su un articolato intreccio di arti visive, che a volte incontrano la carta stampata. Ad ospitare l’ultima analisi sull’operato creativo del designer californiano naturalizzato francese, le pagine del book edito da Rizzoli dal titolo Rick Owens: Temple of Love che ripercorre le fasi di formazione dell’identità multidisciplinare dell’artista e del suo brand.

A fare da guida tra i saggi biografici e gli approfondimenti critici sulle collezioni presentate in quasi trent’anni di attività, la penna della co-autrice Miren Arzalluz che lavora a quattro mani con Rick Owens per realizzare la prima opera critica dove la parola ha una forma fotografica. Questo perché Rick Owens ha sempre immortalato i suoi abiti in scatti digitali alla Steven Maisel, dove il bianco e nero dominano in collezioni bicolori, addirittura bidimensionali se si guarda alle prime, dove giacche e cappotti vengono appiattiti da spalle allargate a dismisura, costruendo un’armatura organica dell’uomo moderno. Ma non solo foto e parole, anche arte, moltissima arte che si sintetizza in una ricerca minuziosa per la bellezza primitiva, naturale ma sintetica, come un fiore cresciuto tra mura di cemento.

Le sue collezioni sono un tributo all’arte digitale, come per la SS08 dove l’abito diviene un tratteggio creativo, all’arte performativa, richiamata dalla SS16 con il noto abito ‘’ad incastro’’ che vedeva due modelli sovrapposti, fino a giungere a quella tridimensionale, con le sue ricorrenti sculture multiformi, con un’anatomia propria. L’anatomia di un corpo che muta e che si narra in pagine di tessuto dal taglio irregolare, ma che si legge come un odissea dell’uomo. Un viaggio liturgico, sacrale che cambia scenografia: se gli show si tengono nell’atrio del Palais de Tokyo a Parigi, la retrospettiva, che porta lo stesso nome del book, si allestisce negli spazi di Palais Galliera, lo storico museo nazionale parigino che da anni accoglie le maison e ne esibisce la storia.

Un ‘’tempio dell’amore’’ che accoglierà i seguaci del designer dal 28 Giugno 2025 al 4 Gennaio 2026, con i 100 abiti più rappresentativi del percorso di Rick Owens: dai primi anni a Los Angeles alle ultime sfilate. Il titolo della mostra richiama alle passioni del designer rappresentate non solo dai suoi look, ma sopratutto da quel dialogo incessante con l’arte contemporanea, la cinematografia hollywoodiana del Novecento, e la letteratura epica di Cecil B. De Mille.

La mostra – curata dalla stessa autrice della biografia di Owens, Miren Arzalluz, insieme a Alexandre Samson, in veste di curatore scientifico, e lo stesso Rick Owens – ospita fotografie, monografie artistiche, opere contemporanee e 30 sculture brutaliste provenienti dalla raccolta del fotografo Paul Rivilio, autore di Bunker archeology.

A completare il percorso, la riproduzione della sua camera da letto californiana condivisa con la moglie Michelle Lamy, che appare coerente con l’ambiente e gli abiti che fanno da cornice. In fondo progettare una mostra che sia un tracciato evolutivo dell’occhio artistico del designer è una lavoro ambizioso che si rivela vincente perché coerente con la meccanica creativa, che a volte è aggrovigliata come il lenzuolo della camera da letto, e inquieta come le forme disumane dei sui look. Un book ed una mostra per suggellare un trentennio creativo che innova il concetto stesso di ‘’moda’’, intesa come espressione del possibile. Per Rick Owens il possibile è un confine ideologico che separa realtà e finzione, dove quest’ultima altro non è che presagio di un futuro distopico.

Words: Luca Cioffi @ilmilanesedi_roma

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