Nel cuore dell’Appennino toscano, tra i boschi rigogliosi e le radure luminose dell’Oasi Dynamo prende vita un progetto unico che unisce arte, architettura e impegno sociale: è l’OCA (Oasy Contemporary Art and Architecture). Il museo a cielo aperto che con le sue opere di landing art all’interno dell’Oasi Dynamo ne arricchisce i percorsi esplorativi, rendendo questa riserva naturale di oltre 1.000 ettari ancor più straordinaria.
Dal 15 giugno 2025 e fino al 7 novembre 2025 l’Oasi Dynamo apre infatti al pubblico un percorso immersivo, curato da Emanuele Montibeller e con la direzione progettuale dell’architetto Roberto Castellani, che trasforma una passeggiata nel verde in un viaggio sensoriale, artistico e culturale. Il progetto nasce dallo spirito della Fondazione Dynamo Camp, che da anni promuove attività di sostegno e terapia ricreativa a bambini con gravi patologie e alle loro famiglie. La stessa energia sociale, fatta di cura e attenzione per l’altro, permea anche questo museo a cielo aperto.
Una passeggiata tra arte, architettura e paesaggio
Il percorso parte dal parcheggio di Croce di Piteglio, accessibile solo a piedi, con un sentiero di circa 30 minuti che conduce i visitatori verso una radura. Qui, una stalla restaurata e trasformata in centro espositivo ospita L’arte è WOW! una selezione di opere create da artisti contemporanei insieme ai bambini e alle famiglie di Dynamo Camp all’interno dell’Art Factory, il progetto speciale di Dynamo Camp che da oltre 15 anni unisce arte contemporanea e Terapia Ricreativa Dynamo. Un racconto di creatività condivisa, gioco e resilienza, che dimostra come l’arte possa essere un potente strumento di cura e connessione. Questo è il punto di partenza per un anello guidato di un’ora e mezza, durante il quale l’arte si fonde con l’ecosistema dell’Oasi, con diverse opere site specific pronte a svelarsi durante il percorso.
Nella terra il cielo – Mariangela Gualtieri e Michele De Lucchi
Le parole e le forme si fondono in Nella terra il cielo. La poetessa Mariangela Gualtieri presta la sua voce e il suo sguardo, mentre Michele De Lucchi dà corpo alle visioni. L’opera è un ponte tra mito e memoria: un segno che nasce dal terreno stesso, si alza lieve verso il cielo e sembra raccontare storie antiche che appartengono a questo luogo. È un’installazione che parla di radici e di trascendenza, destinata col tempo a lasciare soltanto l’eco della sua poesia.
Dynamo Pavilion – Kengo Kuma
All’inizio del percorso, quasi come un respiro che apre l’esperienza, si incontra il Dynamo Pavilion di Kengo Kuma. Qui, la mano del grande architetto giapponese sembra lasciarsi guidare dalla leggerezza del vento: travi di legno intrecciate si insinuano tra gli alberi, creando un flusso armonico che danza con il paesaggio. Non è solo un’installazione, ma un invito alla contemplazione, un luogo che ci ricorda quanto l’architettura possa diventare un prolungamento della natura e non un suo ostacolo.
Self-regulation – Alejandro Aravena
In un punto più raccolto, protetto da una struttura preesistente, troviamo Self-regulation di Alejandro Aravena. Architetto e pensatore, Aravena propone una riflessione sul modo in cui viviamo lo spazio: un intervento che è insieme rifugio e provocazione, una sorta di “trappola antropologica” che ci chiede di fermarci e chiederci cosa significhi abitare un luogo, cosa voglia dire regolare le nostre relazioni con ciò che ci circonda.
Erosions – Quayola
Un cambio di passo porta a Erosions, firmata dall’artista visivo Quayola. Blocchi di roccia vulcanica, scavati da algoritmi generativi, raccontano l’incontro tra forze ancestrali e tecnologie contemporanee. Qui la materia non è solo contemplata, ma trasformata, diventando paesaggio nuovo. È un’opera che sorprende, perché mostra come l’uomo possa dialogare con la natura senza dominarla, ma reinterpretandola.
Home of the World e Plastic Bags – David Svensson e Pascale Marthine Tayou
Tornando verso la radura centrale, due opere permanenti accolgono i visitatori. Home of the World, di David Svensson, è una celebrazione della casa come simbolo universale, con le sue bandiere impossibili traccia un segno che parla di accoglienza e appartenenza. Poco più in là, un’esplosione di colori attira l’occhio: Plastic Bags di Pascale Marthine Tayou. Apparentemente giocosa, quest’opera è anche un monito, un invito a riflettere sull’impatto dei nostri gesti quotidiani, sull’ambiente e sulla società
Fratelli Tutti – Matteo Thun
In un silenzio profondo, tra il muschio e le rocce, emerge Fratelli Tutti di Matteo Thun. L’opera prende ispirazione dall’enciclica di Papa Francesco, trasformando il bosco in un tempio all’aperto. Monoliti di pietra locale, disposti in cerchio, richiamano i cicli della vita e della natura. È un invito alla riflessione collettiva: fraternità, pace, unità, come destino condiviso di chi calpesta questa stessa terra.