Il gusto dell’incontro. C’è un gesto che precede ogni racconto: sedersi a tavola, dividere il pane, ascoltare.
I Came For Couscous nasce così, da un invito semplice e radicale: costruire uno spazio dove le voci arabe e africane possano raccontarsi dall’interno, senza mediazioni, senza etichette. Il couscous, diventa simbolo di questo incontro: non solo un piatto, ma una soglia condivisa, un terreno comune, da cui un “io” generico e plurale, possa cominciare a raccontarsi. È in questo gesto di condivisione, che le storie prendono il loro primo respiro.
Più che un progetto editoriale indipendente, I Came For Couscous è uno spazio vivo: una tavola intorno alla quale ci si incontra, si dialoga, si cucina. Ogni numero prende forma come un pasto preparato con cura: si scelgono gli ingredienti, si bilanciano i sapori, si lascia spazio ai silenzi e all’imprevisto. Ogni pagina diventa un boccone da assaporare, un invito a sedersi e ascoltare ancora.
I racconti che prendono vita in queste pagine si muovono in una moltitudine di temi. Storie che nascono da una radicale volontà di ascoltare e da una curiosità ostinata per ciò che sfugge ai riflettori. Dietro ogni narrazione, c’è una tensione costante: decentrare lo sguardo, spostare il centro di gravità della cultura. Non per ribaltare le gerarchie esistenti, ma per rendere visibile la molteplicità dei centri, la varietà dei modi di esistere, di creare, di pensare. “I mondi arabi e africani non sono margini; sono fonti di invenzione, pensiero, bellezza.”
Le voci scelte non sono mai “tipiche”: sono uniche, silenziose, libere. “Cerchiamo personalità irripetibili, voci rare e storie inattese”. Il lavoro curatoriale si fonda su un’attenzione profonda. Ognuna di queste voci viene accolta nel suo tempo, senza forzature. Si lavora entrando in uno studio o in una vita come si entra in una casa: in punta di piedi, con rispetto. “La cura è ascolto, rispetto del ritmo di ciascuno. Il desiderio ci spinge a meravigliare. La possibilità è lo spazio lasciato aperto.” In questo modo ogni parola e ogni gesto, trovano il loro posto naturale nella narrazione collettiva.
L’idea di archivio che il progetto incarna, è viva, mobile, sempre in dialogo: “Non vogliamo congelare le culture, ma lasciarle respirare, evolvere, conversare.” Le storie raccolte sono intime ma mai chiuse: parlano al singolare, ma rivelano strutture collettive, movimenti più ampi, narrazioni che resistono alle definizioni. Diventa così, un archivio poroso, vibrante e mai definitivo, dove la bellezza non è decorativa e la fragilità, lungi dall’essere censurata, viene al contrario, custodita come forma di resistenza.
Attorno a questo progetto, lentamente, si è formata una comunità vasta e fluida: giovani creativi, curatori, artisti, lettori, ma anche semplici viaggiatori dell’immaginazione. Oggi I Came For Couscous è distribuito in oltre 22 paesi e 220 punti vendita, da Tokyo a Marrakech, da New York ad Amsterdam. Ma il suo senso più profondo non è nella diffusione, bensì nella connessione: “Non è un oggetto fisso, ma uno spazio per connettere mondi che non si incontrano spesso.”
E così, da un sogno editoriale, è nato un luogo concreto. Una cucina calda di voci e mani che impastano, tagliano, ascoltano. Una casa viva, dove le conversazioni iniziano con il tè e si allungano nella notte. Ci sono scaffali pieni di libri, piatti condivisi, memorie diasporiche che si mescolano come spezie. Una poetessa brasiliana racconta la nostalgia. Un’artigiana marocchina insegna a tessere. Un designer giapponese osserva in silenzio e annuisce. È un luogo di ospitalità e possibilità, dove ogni presenza lascia una traccia, e ogni voce contribuisce a una partitura corale, intima ma collettiva.
I Came For Couscous continua a tracciare strade nuove, ad aprire porte dove prima c’erano muri. C’è l’urgenza di ascoltare altre voci, attraversare territori ancora inesplorati, abitare temi come il corpo, la gioia, la memoria, l’esilio. Con lo stesso passo attento che ha guidato il progetto fin dall’inizio, si accetta il movimento come forma naturale del racconto. “Per noi significa restare in cammino, accettare di cambiare come fanno le stagioni, e lasciare che la vita e il mistero si svelino.” Non per arrivare a una destinazione, ma per continuare a tessere — con cura, con desiderio, con possibilità — una geografia sensibile fatta di incontri, visioni e presenza.
Project: Sofia Spini e Giorgia Calia @sofispini @giorgiaacaliaa
Words: Giorgia Calia @giorgiaacaliaa
Digital Director: Giulia Pacella @giupac79