Innovazione, famiglia e Martin Margiela, una combinazione complessa dalla traduzione immediata: talento. Ognuna di queste parole completa un quadro astratto che, a sua volta, all’occhio smisurato del domani suona come pura concretezza, carica di emotività alternata a pratica razionalità. Marco Anzil, finalista del contest per emerging talents ITS Platform, corrisponde a quei rari casi dove l’eccesso è contenuto, misurato, attentamente studiato, così che nessuna goccia di sogno e speranza cada invano. Il giovane designer, classe 1994, si narra a libro aperto e ad ali spiegate, aprendosi ad un dibattito interiore che si spiega in poche e semplici parole, tanto personali quanto comuni, fatte di riscatto, comprensione e immancabile passione.
Quando, dove e come nasce Marco Anzil designer?
Credo che la domanda più giusta sia: quando Marco Anzil ha finalmente accettato la sua passione, cambiando la sua vita per iniziare a viverla davvero. Dopo aver intrapreso gli studi in Chimica e Biotecnologie Ambientali, ho considerato l’idea di diventare un medico, uno scienziato o qualunque cosa potesse rendere orgogliosa la mia famiglia e potesse aiutare il mondo e chi lo abita. Ho sempre avuto il desiderio di risolvere i problemi, ignaro che se avessi scelto la strada che mi ero imposto, sarei stato il primo ad avere i problemi che tanto avrei voluto evitare agli altri. La moda è sempre stato un mondo in cui mi sentivo compreso, che mi faceva sentire quel brivido lungo la schiena e mi faceva illuminare gli occhi. Questa sensazione non è mai passata, è cresciuta ed oggi nutre il mio spirito, fa viaggiare la mia mente e mi riempie il cuore come solo l’ossigeno riesce a fare con il mio petto, ad ogni respiro. Avrei sacrificato tutto questo per rendere fiera la mia famiglia, inconsapevole del fatto che nessuno mi aveva mai chiesto di farlo. Se mi guardo oggi, dopo aver avuto il coraggio di seguire la mia passione ed intrapreso la mia strada, non priva di sacrifici e rinunce, anzi… mi rendo conto che non avrei mai potuto rendere la mia famiglia più fiera di così. La mia famiglia, pilastro portante del mio essere a livello personale, ispira giorno per giorno il mio essere designer, soprattutto i miei nonni che, pur non essendoci più, mi hanno ispirato molto durante la mia collezione. Mia nonna materna in particolare è da sempre una Musa per me e mia madre è oggi l’erede del suo innato carisma, nonché mia ispirazione da sempre e per sempre.
Dalle tue parole si evince un grande attaccamento alle radici familiari, a quelle persone che hanno contribuito a definirti personalmente. Per quanto riguarda invece la parte istituzionale: il tuo percorso formativo-accademico che ruolo ha avuto nell’ampliamento del tuo occhio estetico?
Credo che le cose che più siano riuscite a definire il mio occhio siano state la curiosità, la fame e Martin Margiela.
L’accademia ti offre i mezzi, ti istruisce e ti forma come professionista, ma l’estetica (come la passione) è qualcosa che senti, che brucia dentro di te e a volte non controlli. È qualcosa che ti attrae verso la sua luce, come l’arcolaio attrae il dito di quella regale principessa delle fiabe, e che può farti male se non sai gestirlo. Dopo aver finito il liceo non ho subito puntato alla moda, ho prima soddisfatto la mia curiosità di tentare un’altra arte che amo: la recitazione. Ovviamente quello fu davvero uno sfizio passeggero che però mi ha insegnato tanto, pur essendo io negato. Per finanziare la passione per la recitazione, ho iniziato a lavorare e la moda l’ho sbirciata da un’altra angolazione, quella del venditore. Per anni ho lavorato in diversi showroom, occupandomi della vendita, soprattutto di accessori. Questa esperienza mi ha formato concretamente e profondamente e mi ha permesso di risparmiare ciò che mi serviva per pagarmi il mio primo anno all’Accademia di Costume e Moda di Roma, non sicuro di avere i soldi per finanziare gli altri due. Da lì in poi è stato chiaro per me che quella era la mia strada.
Martin Margiela, la recitazione, l’esperienza negli showroom sono tutti tasselli di un mosaico che sembra già aver acquisito uno spazio notevole dentro di te e che lentamente si amplia. Chi sono i tuoi riferimenti artistici?
Come accennavo prima il mio artista preferito è Martin Margiela: colui che con i suoi capolavori non finiti ha finito per cambiare la mia vita. Ricordo ancora quel battito del mio cuore dopo aver visto la linea Artisanal e lo ricordo bene, perché è la stessa sensazione che provo ancora oggi davanti ad ogni suo pezzo. I suoi lavori, dall’aspetto a volte incompiuto, mi emozionano come i non finiti di Michelangelo e Rodin, come la bellezza spirituale di Brancusi e come la narrazione empatica delle ultime teste astratte di Jawlenky. L’arte più che un riferimento artistico è stato, ed è tuttora, il mio rifugio più intimo dove si comunica in poetico silenzio. Un silenzio narrabile solo dall’immenso Bergman.
Dopo aver visto le tue creazioni, aver ascoltato il tuo passato, aver scoperto i grandi maestri dietro ai tuoi lavori, la domanda sorge spontanea: come mai l’accessorio? Quanto è importante secondo te nella costruzione di un look e nella definizione dell’identità di un brand?
La verità è che un giorno ho disegnato una borsa, la mia borsa, per l’esame di Accessories Design e da lì tutto è cambiato. Sebbene il mio amore per la moda fondi le sue radici nell’abbigliamento, l’accessorio mi ha sempre affascinato, spesso viene oscurato dallo scintillio del look, seppur (quasi) sempre è primo nelle vendite. L’abbigliamento sta alla poetica del brand quanto l’accessorio sta al suo benessere economico – quasi sempre. Il mio progetto è nato poco prima del covid, poi, è cresciuto durante la pandemia quando ho avuto modo di indagare la storia dell’accessorio. Credo che se il mondo ne conoscesse la storia, non sarebbe più solo il cavallo vincente per le vendite, ma potrebbe diventare la poesia che spesso cerchiamo solo nell’abbigliamento. Trovo che a livello sociologico gli accessori abbiano una grande storia da raccontare e nel mio piccolo ho cercato di raccontare il mio punto di vista. Gli accessori sono fondamentali per la narrazione di un racconto, basti pensare a Gucci che borchiando un manico di bambù riesce a raccontare la propria storia, spiegando da dove viene e dove va dopo la sua ennesima rivoluzione. Se non ci fossero gli accessori quante persone credete che riuscirebbero ad indovinare il brand solo da un look? Ecco, questo descrive secondo me molto bene l’importanza dell’accessorio per l’identità di un brand. L’accessorio è spesso il brand stesso, a volte in silenzio a volte no.
Come definiresti il tuo brand?
Come un fiore che si è finalmente dato il permesso di sbocciare. Per così tanto tempo ho costretto il mio lavoro alla riservatezza e oggi lui stesso mi ha chiesto di lasciarlo libero. Aiutato dalle occasioni per mostrarsi, oggi ha dato a me il coraggio di lasciarmi andare. Il mio lavoro, l’impatto che ha avuto nei diversi mondi in cui è stato esposto ed i feedback ricevuti da pubblici così differenti hanno permesso di nutrire l’idea della nascita di un brand, che oggi è simbolicamente un fiore in procinto di sbocciare, rispettoso dei suoi tempi e, consapevole che seppur non sia facile, non vede l’ora di iniziare la sua vita.
E quale occasione più proficua per sbocciare se non la partecipazione ad ITS Platform, in qualità di unico finalista italiano. Era uno dei tuoi obbiettivi l’approdo al contest?
Partecipare a ITS è stato durante l’accademia un obbiettivo, ma dopo aver partecipato più che il raggiungimento di un obbiettivo è stata un’esperienza di vita, perché è stato fantastico! Dal team di ITS ai miei compagni di avventura, è stata un’esperienza che prima di tutto mi ha nutrito a livello umano e che mi ha stimolato a livello artistico, permettendomi di comunicare tutto ciò ad una giuria incredibile, composta non solo da alcuni dei più rinomati profili del mondo della moda, design e giornalismo, ma da persone di estrema umanità.
Quali sono stati i consigli e le lezioni apprese dal contest che ti porterai dietro?
Il consiglio migliore è probabilmente il più banale, quello di lasciarsi andare. Entrando in ITS non può non salire un po’ di soggezione ed è proprio lì che bisogna combattere la paura di deludere le aspettative lasciando spazio al proprio essere. Nessuno è lì per giudicarti come persona, solo per giudicare il tuo lavoro che ormai è già lì ed è stato scelto, quindi che senso ha andare in crisi? Essere scelti da ITS è già comunque una vittoria.
Com’è stato presentare le proprie creazioni davanti ad una giuria internazionale di alto profilo come quella di ITS Platform?
Come dicevo, la giuria ha avuto per me un grande valore umano e questa cosa è impagabile. Presentare, presentarsi, davanti a così tante persone non è mai facile, ma è un’opportunità fantastica e bisogna sapersela godere, poiché occasioni così non capitano tutti i giorni.
Alla fine ITS Platform è da sempre sinonimo di futuro. Se dovessi immaginare la moda del domani, come sarebbe?
Chiara, etica e consapevole. La moda è innegabilmente un business, ma questo non esclude il fatto che sia uno dei più forti mezzi di comunicazione che esistano. La moda è da sempre testimonianza delle necessità di ogni secolo. La moda è un gioco bellissimo, ma è anche speranza e la mia speranza è che la moda di domani ci liberi, senza costringerci mai più
E tu, Marco, dove ti vedi domani?
Che ne dite se risponderò un domani, non vorrei rovinare né a me né a nessun altro la sorpresa! 🙂