Intervista a Elena Rusconi, tra i volti della nuova e tanto attesa serie televisiva, in uscita nel 2025, Rise of the Raven, ma non solo. La giovane attrice milanese, che nella sua carriera ha recitato al fianco di Ryan Reynolds in un film diretto da Michael Bay, è anche l’autrice di Little Engine Theater, un progetto fuori dagli schemi, fondato a New York, che intende rivoluzionare il classico concetto di Teatro.
Ciao Elena, come stai? In quale fase della tua vita ti trovi in questo momento?
La mia vita è sempre piena di alti e bassi, forse anche un po’ per via del mio lavoro. In questo momento sono senza dubbio in una fase “alta”, che speriamo duri. Vengo da un mese molto intenso e produttivo, sto vivendo uno di quei periodi in cui tutto mi sembra più chiaro, sembra avere un senso. Magari domani tutto finisce oppure è finalmente arrivata quella fase di “raccolta” dopo tanto lavoro, chi lo sa. Per il momento cerco di godermela.
Nel 2025 uscirà una nuova serie TV che ti vedrà coinvolta come una delle protagoniste, Rise of the Raven. Cosa significa per te aver lavorato a quella che Variety ha descritto come “una delle produzioni europee più epiche di tutti i tempi”?
Sono davvero onorata di farne parte. Abbiamo finito le riprese già da un po’, ma stanno curando ogni dettaglio con una precisione incredibile. Si tratta di una serie storica ambientata nel quindicesimo secolo che racconta la storia di Janos Hunyadi, un eroe ungherese che, sconfiggendo l’esercito ottomano a Belgrado nel 1456, ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione dell’Europa che conosciamo oggi. È una storia di perseveranza e sacrificio, ma anche un racconto potente su come il potere della fede e la convinzione in una causa possano spingere l’uomo a compiere atti straordinari. A Belgrado l’esercito ungherese era in netta inferiorità numerica: 30.000 contro i 100.000 dell’esercito ottomano. È una storia che, senza dubbio, lascia il segno.
The Catch, I Medici, così come 6 Underground, il film in cui ti abbiamo visto recitare al fianco di Ryan Reynolds. Ma non solo. Qual è il ruolo interpretato che ti sta più a cuore e quello che ti ha permesso di crescere maggiormente come attrice professionista?
Non credo che ce ne sia uno in particolare. In Accademia ci dicevano sempre: “la crescita come attore avviene parallelamente a quella come essere umano”. Più passano gli anni, più quell’affermazione acquista per me significato e profondità. Il ruolo di Arianna in 6 Underground è stato molto speciale per me. Nel film recito in scene in cui non c’è azione e il mio ruolo aiuta a esporre il lato vulnerabile del protagonista aggiungendo umanità alla storia. Il fatto, poi, che fosse diretto da Michael Bay e che recitassi al fianco di Ryan Reynolds mi ha sicuramente dato visibilità. Mi ritengo fortunata per aver avuto l’opportunità di lavorare su progetti così diversi tra loro: commedie romantiche, film d’azione, serie storiche, mi mancano ancora i thriller e gli horror. Spero che il ruolo dei miei sogni debba ancora arrivare.
Insieme ad altre due ex-compagne dell’Accademia newyorkese hai fondato Little Engine Theater, una compagnia teatrale che potremmo definire piuttosto rivoluzionaria e innovativa. Ti va di raccontarci l’idea alla base del vostro progetto e cosa rappresenta per te oggi il Teatro?
Grazie per questa domanda, amo parlarne. Little Engine Theater (LET) è una compagnia non-profit che abbiamo fondato con l’intento di portare in scena testi internazionali (non americani) in luoghi alternativi come un ring da boxe, una chiesa o una libreria, per citare qualche esempio. Il teatro è una delle mie più grandi passioni e riuscire a creare una piattaforma che ci permetta di realizzarlo secondo una visione nostra, fresca e innovativa è per me una grande soddisfazione e un’impresa di cui vado davvero fiera. Ho sempre letto molto, in particolare opere teatrali americane, che sono meravigliose, ma essendo cresciuta in Europa e approdata a New York in età adulta, sento il bisogno di dare voce a culture diverse. Voglio portare pièce internazionali in una città che, pur essendo un melting pot di culture, spesso non riflette questa diversità sul palcoscenico. Il cinema e la televisione hanno iniziato ad esplorare concetti più inclusivi e poliedrici – come Rise of the Raven, che è recitata in almeno cinque lingue – e il nostro obiettivo è fare lo stesso nel mondo del teatro. L’idea di produrre fuori dai teatri convenzionali, in location più intime e inaspettate, è pensata per creare un’esperienza unica per lo spettatore, che possa sentirsi veramente immerso nel mondo dei nostri personaggi.
“LET’s break the box” è uno dei nostri slogan (LET sta per Little Engine Theater). Vogliamo rompere gli schemi, ma con una doppia interpretazione: da un lato, sfidiamo la convenzione del teatro “black box”, che si riferisce a spazi piccoli e un po’ asettici, dall’altro vogliamo abbattere gli stereotipi che ci confinano in un “box”, esplorando culture diverse nella loro complessità e nelle loro sfumature. Penso ce ne sia bisogno, quindi LET’s…
In un’intervista hai dichiarato che per te, oggi, il teatro deve avere il potere di non farti guardare il cellulare. Come riuscirci, qual è la chiave per coinvolgere veramente gli spettatori e, in particolare modo, le nuove generazioni?
Il teatro deve essere autentico e capace di rispecchiare l’umanità. Deve essere accessibile e “sexy”, non può permettersi di essere troppo impegnato e pretenzioso. Deve parlare a tutti, con sincerità e immediatezza, senza mai compromettere la sua capacità di emozionare. Il pubblico di qualunque età deve sentirsi coinvolto, come se stesse spiando attraverso una serratura un frammento di esistenza che potrebbe essere la propria.
C’è un’artista in particolare con cui vorresti lavorare?
Tanti, i primi che mi vengono in mente come registi sono Valeria Golino, Paolo Virzì, Alice Rohrwacher e Damien Chazelle. Per quanto riguarda la drammaturgia contemporanea, Florian Zeller. Un’artista che mi piace tanto poi è Marina Abramović.
Chi è la tua musa, la fonte di ispirazione nel tuo lavoro?
Celine Song nasce come scrittrice teatrale, ma ha recentemente scritto e diretto Past Lives per il cinema. Penso ci sia bisogno di più storie così, ormai siamo in tanti ad essere cittadini del mondo. Recentemente ho riascoltato il discorso di Viola Davis, quando ha vinto l’Oscar per Fences, ed è stato di grande ispirazione. Parla di un posto dove sono riunite tutte le persone con il più grande potenziale: il cimitero. Dice che il suo obiettivo è raccontare quelle storie, riesumare quei corpi, ridare vita alle persone che hanno sognato in grande ma non hanno mai visto realizzare i propri sogni. Storie di chi si è innamorato e ha perso. Spiega che è diventata un’artista perché è l’unico lavoro che celebra il significato di essere vivi. E dedica l’Oscar ad August Wilson che, dice, ha ridato vita ed esaltato la gente comune. Penso sia uno dei discorsi più belli.
Qual è il tuo rapporto con la bellezza fuori dal set? Quanto tempo dedichi alla skincare routine?
La mia skincare routine è abbastanza semplice, forse dovrei dedicargli più tempo, ma dopo poco mi annoio. Mi diverto di più con il trucco, che da sempre vedo come un modo per esprimere la mia vena artistica. Avrei voluto essere brava a disegnare, ma sono sempre stata negata. Da piccola mi sfogavo con gli ombretti, a volte uscivo in condizioni pietose.
E con la moda?
Adoro mettere i tacchi. Tra i miei brand preferiti ci sono senz’altro Schiaparelli e Ralph Lauren.
Come immagini il tuo futuro?
Spero di trovare leggerezza e morbidezza, spero di restare sempre curiosa e avere la forza e l’umiltà di rimettermi in gioco dopo i fallimenti. E, inoltre, spero che la vita continui a sorprendermi.
photo Nicola De Rosa
style Rebecca Baglini
Grooming Lucia Orazi
Talent Elena Rusconi
Agency MPunto Comunicazione