È fan della moda vintage, adora le vibes e la musica degli artisti emergenti e sogna un featuring con Nayt. Prima di una serata per caricarsi ascolta musica malinconica e non esce mai di casa senza un filo di trucco, perché la aiuta ad accrescere l’autostima. Il suo sogno nel cassetto sarebbe quello di creare un album tutto suo e nel frattempo debutta con un singolo, Carillon (Warner Music Italy/ADA), che oltre ad essere la trasposizione in musica di sue delusioni personali rappresenta per la giovane cantautrice milanese quel progetto che aspettava da tempo. La svolta. Ed è Sofia Sole a raccontarci di questo e di molto altro.
Ciao Sofia, ti va di raccontarci un po’ chi sei?
Mi avete fatto la classica domanda da audizione, quindi sono ferratissima! Ho 22 anni, sono di Milano, ma la mia famiglia è del Sud Italia. Ci tengo a precisare che non sono totalmente milanese, nel mio cuore c’è il mare di Napoli. Ho iniziato a fare musica a 13 anni per puro caso, mia madre voleva che mi dedicassi a qualcosa che andasse oltre alla danza classica, così ho scelto la chitarra. Con il tempo, però, ho abbandonato lo strumento e ho iniziato a cantare. Ho poi continuato a studiare pianoforte e chitarra da autodidatta arrivando a partecipare a The Voice e, successivamente, a perfezionarmi negli studi musicali a Los Angeles. Scrivo sempre e ovunque, se non avessi avuto la voce probabilmente sarei comunque un’autrice, aspetto che sto comunque cercando di portare avanti. Lavoro, studio e cerco di riempire le mie giornate con l’arte e le emozioni. Anche perché, per ora, l’amore l’ho trovato solo nella musica, ma se qualcuno ha un ragazzo da presentarmi accetto l’offerta! Nel frattempo continuo a scrivere canzoni.
A proposito di Los Angeles, hai studiato al conservatorio AMDA. Cosa ha rappresentato per te questa esperienza e come ha influenzato il tuo percorso musicale?
Mi ha completamente cambiato la vita. Prima di questa esperienza ero molto più introversa e timida e avevo molta paura a parlare di me e della mia musica. Lì ho capito cosa vuol dire sudare per conquistare i propri sogni. Iniziavamo le lezioni alle otto del mattino e finivamo alle dieci di sera, dovevamo ballare, studiare, recitare, cantare e suonare. Qualsiasi cosa riguardasse l’arte performativa noi studenti dovevamo essere in grado di farla. Mi ha tirato fuori la fame, senza Los Angeles e le persone che ho incontrato lì non so se oggi avrei avuto la stessa passione che ho. Mi ha nutrito tanto l’anima.
Venerdì 15 novembre è uscito il tuo nuovo singolo “Carillon”. Come è nato questo progetto e perché hai scelto un tema come quello dello “sfruttamento emotivo” per questo brano?
Questa canzone rappresenta per me un punto di svolta artistico. Dalla produzione al testo, fino alle immagini che ho creato con il mio team, sento che questo è finalmente il progetto che ho sempre desiderato. L’idea è nata purtroppo da un’esperienza reale: una mia amica mi ha ferito profondamente, nonostante tutto il bene che le ho voluto e dimostrato. Carillon è il simbolo di uno dei problemi più grandi che esistono secondo me nei rapporti di amicizia: il volere sempre di più senza mai restituire.
Qual è il brano che ti sta più a cuore e quello che ti ha fatto crescere maggiormente come artista?
Ora come ora vorrei dirvi i titoli di tanti inediti, ma purtroppo non posso quindi dirò Carillon, che sta sicuramente segnando un periodo importante della mia vita, sia a livello artistico sia personale. È un brano sincero e avevo bisogno di esserlo.
Cosa pensi della scena musicale italiana attuale?
Se parliamo delle classifiche e dei numeri non mi trovi d’accordo con il mercato attuale, perché è tutto troppo veloce, troppi singoli e pochi fatti concreti. Se invece guardiamo alla qualità penso che oggi sia altissima, soprattutto tra gli emergenti. Io ascolto principalmente artisti italiani emergenti, da Ginevra a Giuse The Lizia. Sono talenti pop, ma con personalità uniche, che propongono temi meravigliosi e testi pieni di ispirazione. Questi artisti rappresentano per me il lato più internazionale e “cool” della musica italiana, ma purtroppo non ricevono abbastanza spazio.
Che genere di musica ascolti solitamente?
Musica triste! Amo ascoltare le canzoni malinconiche, anche quando sono felice. Le mie amiche mi prendono in giro perché mentre mi trucco per andare a ballare ascolto Gracie Abrams o Lizzy McAlpine, che cantano solo con chitarra o pianoforte. Per me l’aspetto più bello di una canzone rimane il testo, le parole, amo i concerti acustici e molto meno andare a ballare.
Con quale artista ti piacerebbe collaborare?
Il mio sogno è un featuring con Nayt. Adoro il suo flow e la sua scrittura, lo trovo incredibilmente diretto e sincero. A livello internazionale impazzisco per Pierre de Maere, un artista francese che propone produzioni pop elettroniche strepitose.
Che rapporto hai con la moda?
La moda ha un linguaggio universale, è il modo in cui ci mostriamo al mondo ed esprime come ci sentiamo. Amo i capi semplici, arricchiti da tanti accessori, ultimamente sto imparando a far convivere la moda con il mio corpo, che è in continua evoluzione. Un giorno mi vedo bellissima in verde, il giorno dopo penso che mi stia malissimo! Il mio guardaroba preferito è quello di mia nonna e di mia madre, sono una grande fan del vintage, la moda era sicuramente meglio negli anni 90.
E con la bellezza? Quanto tempo dedichi alla skincare?
Ho un rapporto conflittuale con la skincare, ovvero, soffro di acne da anni e detesto vedermi senza trucco. Cerco di farmi vedere struccata solo dai dermatologi e da me stessa la sera, appena prima di dormire. Però amo il make-up, perché mi aiuta tantissimo con l’autostima. Non esco mai di casa senza fondotinta e matita labbra, adoro il contouring e gli occhi marcati. Insomma, i prodotti beauty mi danno quella sicurezza che ancora mi manca, ma ci sto lavorando, giuro!
Sogni nel cassetto?
Non vedo l’ora di finire un album tutto mio, con una sua storia, un filo logico e cronologico, con generi diversi ma connessi tra loro. Featuring con i miei artisti preferiti e un tour con l’orchestra. Forse chiedo troppo, ma dopo aver visto RAYE all’Umbria Jazz Festival non posso sognare altrimenti e, perché no, fare anche io qualche festival jazz!