Visitare una mostra, secondo la neuroscienza, attiva l’area celebrare del piacere, una sorta di terapia alternativa che migliora l’umore e in alcuni casi combatte addirittura gli stati depressivi. C’è chi decide di visitare una mostra, perché attratto dal nome dell’artista, magari più rinomato rispetto agli altri, o da una singola opera, diventata iconica. E chi lo fa per puro divertimento e curiosità.
Altre volte, invece, è la Galleria a fungere da catalizzatore: un luogo costruito su misura dell’artista e del gallerista, studiato nei minimi particolari, per poter offrire l’esperienza dello spazio che lo ospita e diventare per gli artisti un luogo di scambio e di ricerca, dove i nuovi artisti vengono accolti da altri artisti e sono guidati da questi ultimi nelle loro pratiche.
“Lavorando come una famiglia, ognuno è rappresentato dalla galleria, ma allo stesso tempo la rappresenta”, spiega Giangiacomo Cirla, co-fondatore di Banquet, la Galleria d’arte contemporanea inaugurata poco meno di un anno fa, che dà voce al talento e al percorso di artisti affermati ed emergenti. Uno spazio in cui la parola d’ordine è esplorazione e gli artisti possono superare i confini convenzionali e, guidati dalla ricerca, dar luce ai loro ambiziosi progetti. Oggi, Banquet è una realtà che vanta una scuderia di talenti multi-generazionale, autori e protagonisti di mostre che con i loro temi possano far nascere dei dibattiti e generare domande piuttosto che fornire risposte.
Una di queste è quella attualmente in esposizione da Banquet: Fantasmagorie, una mostra personale di Matteo Cremonesi, accompagnata dai testi di Mauro Folci e Bruno Muzzolini, dedicata alla sua recente produzione pittorica e scultorea. Con Fantasmagorie, l’artista esplora un territorio semantico definito dalla presenza di opere, dipinti e sculture di fattura e di materiali eterogenei. Oggetti, manufatti e immagini, attraverso cui Cremonesi porta alla luce un universo di segni tesi tra l’espressione di una mediazione tra linguaggi e immaginari contemporanei e il ritornare di segni, narrative e pratiche compositive legate all’universo ancestrale. Un’interrogazione sulla sopravvivenza e sul cupo ritorno di impressioni, storie e simboli e sulla loro capacità di innestarsi nel tessuto contemporaneo. Un progetto complesso, frutto di un lavoro svolto a più mani da artista e galleristi, Giangiacomo Cirla (insieme ai soci e co-fondatori Armando Bruno e Davide Gargiulo), a cui abbiamo rivolto qualche domanda per scoprire di più sulla nuova galleria d’arte contemporanea di via Gozzano, a Milano.
Come nasce Banquet e chi è la mente dietro a questa realtà?
L’idea di creare Banquet nasce nel 2023 durante alcuni incontri avuti tra me e quelli che sarebbero diventati i futuri soci della galleria. Discutendo delle nostre professionalità, delle nostre visioni e dei nostri obiettivi, ci siamo ritrovati in un’area di interesse comune fatta di creatività, sperimentazione, serietà e qualità. Abbiamo così deciso di intraprendere questo percorso insieme partendo dalle basi, cercando lo spazio ideale a Milano e costruendo attorno a noi un ambiente adatto a raccontare le nostre intenzioni e il nostro modo di lavorare.
Qual è il suo percorso formativo e come siete arrivati ad inaugurare Banquet?
Lavoro nel settore dell’arte contemporanea da un decennio e ho sempre diretto gallerie d’arte. Negli anni ho avuto modo di lavorare con artisti sempre più interessanti e strutturati ai quali ho sempre chiesto tanto, soprattutto un costante impegno per raggiungere obiettivi molto impegnativi. Ad un certo punto, sia con alcuni artisti con cui già lavoravo sia con altri con i quali avevo un dialogo aperto, ci siamo resi conto di avere la necessità di un ambiente adatto a proporre i nostri progetti, ormai sempre più “complessi”. Per portare avanti il nostro percorso di crescita avevamo bisogno di una galleria capace di ottenere una posizione nel panorama artistico internazionale e, da parte mia, ho sempre ritenuto fondamentale garantire ai miei artisti la possibilità di potersi esprimere nel migliore dei modi. Da qui, l’incontro con i miei due soci, Armando Bruno e Davide Gargiulo e la scelta dello spazio espositivo che avrebbe ospitato Banquet e successivamente l’apertura al pubblico della nostra prima mostra il 20 febbraio 2024.
Da dove ha origine la ricerca dei vostri artisti e, quindi, la narrazione concettuale delle opere che ospitate presso la vostra Galleria d’arte?
Prendendo forma da un percorso molto lungo e condiviso con gli artisti con i quali lavoriamo, Banquet ha un’identità ben definita, il nostro pensiero è molto chiaro. La maggior parte degli artisti che rappresentiamo derivano da anni di conoscenza e quindi rappresentano alla perfezione la ricerca della galleria. Gli artisti che invece si sono aggiunti – e si aggiungeranno – alla squadra sono sempre scelti in base ad una ricerca costante. A volte, sono scelte complesse, frutto di un lungo studio e avvicinamento alla pratica dell’artista, altre volte, invece, è puro innamoramento. Ogni artista con il quale abbiamo intenzione di avviare una nuova collaborazione è, inoltre, anche sottoposto all’attenzione degli artisti già presenti in galleria, perché lavorando come una famiglia, ognuno di noi è rappresentato dalla galleria, ma allo stesso tempo la rappresenta.
Quale è il filo conduttore che unisce le mostre che esponente da Banquet?
Lavorando con artisti-ricercatori, le mostre da noi proposte hanno il compito di approfondire la pratica dell’artista e, quindi, di offrire una panoramica su una determinata tematica, generando domande piuttosto che fornendo risposte. Attraverso le pratiche degli artisti con cui lavoriamo, approfondiamo la contemporaneità e allo stesso tempo ne forniamo una visione il più trasversale possibile. Quello che cerchiamo di fare con la nostra programmazione è di proporre mostre necessarie, sia per i temi affrontati sia per i dibattiti che possono creare.
Qual è l’experience che una galleria d’arte oggi dovrebbe essere in grado di offrire al visitatore?
La galleria, attraverso il suo spazio espositivo, mette in mostra progetti artistici site specific, capaci di trasformarne ogni volta lo spazio. Per questo motivo, quello che ne nasce è un’esperienza unica, un viaggio nel mondo dell’artista e nella sua ricerca. L’opera d’arte in mostra è la mostra stessa, composta da singoli lavori, ma capace di avere un’identità forte nella sua completezza. Non sono un’amante delle gallerie che appendono i quadri alle pareti in base allo spazio a disposizione. Non agiamo come un negozio di quadri e le mostre sono svincolate da discorsi commerciali. Vogliamo che l’artista sia libero di proporre il suo lavoro nella maniera migliore e più coerente possibile. Per questo, credo fortemente che, seppur ci siano tante differenti tipologie di gallerie, quelle di ricerca debbano essere in grado di coinvolgere i visitatori creando interesse, facendo emergere domande e allo stesso tempo il desiderio di approfondire.
Ci sono artisti o correnti artistiche che hanno avuto una certa influenza sulla vostra visione creativa?
Ogni epoca ha le sue caratteristiche e di conseguenza le gallerie, avendo uno stretto legame con la contemporaneità, mutano costantemente il loro modo di strutturarsi e di agire. Se dovessi trovare un modello al quale possiamo avvicinarci, sarebbe sicuramente quello legato all’arte povera. Periodo in cui alcune gallerie sono state totalmente a disposizione degli artisti, un periodo di comprensione intellettuale e sinergie tra galleristi e artisti che ha fatto nascere un momento artistico strepitoso. Mi viene in mente quel fantastico mondo creato da L’Attico di Fabio Sargentini e quando penso ai cavalli di Kounellis portati in mostra nel 1969 mi emoziono, ogni volta.
Quale idea vi siete fatti dei giovani artisti della nuova generazione?
Abbiamo la fortuna di rappresentare artisti di ogni generazione, Mario Silva, il più giovane, ha trent’anni e Mauro Folci più del doppio. Per questo motivo, attraverso il dialogo che si instaura anche tra gli artisti stessi, notiamo spesso sia le affinità sia le grandi differenze. Gli artisti più giovani devono oggi affrontare un mondo molto complesso che spesso si presenta a loro con la certezza di non avere possibilità di crescita. Anche per questo motivo sono molto dinamici ed esplosivi, hanno tanta qualità, ma allo stesso tempo troppa voglia di arrivare immediatamente al successo, vanno seguiti e indirizzati, ma hanno il grande compito di farci vedere il nuovo che avanza.
Quali sono i vostri progetti per il futuro di Banquet?
Crescere insieme agli artisti con cui lavoriamo, continuare a divertirci ed essere sempre intellettualmente stimolati e stimolanti. Abbiamo in programma un anno molto impegnativo con mostre personali di artisti importanti nel panorama nazionale e internazionale, da Giuseppe De Mattia a Carlo Zanni, artisti che presenteranno progetti complessi e che richiedono un lungo lavoro preparatorio. Inoltre, dovremo portare queste pratiche all’estero, dando la possibilità a chi ancora non ci conosce di entrare in contatto con queste ricerche artistiche. Abbiamo decisamente tanto da fare.