Non appena varcata la soglia d’ingresso, è il tappeto sonoro di Davide Quartucci (2000) ad accogliere il pubblico e immergerlo in quello che pare un paesaggio bucolico, tipico dell’immaginario dell’artista. All’interno della sala principale riposa il lascito installativo di Vittorio Zeppillo (1998), una costruzione meccanica celata alla vista che vive una condizione liminale tra ambiguità e precarietà. Una delle pareti laterali ospita la pittura fugace, stratificata, di Silvia Capuzzo (1996) che – attraverso il suo lavoro – restituisce un senso di profonda inquietudine, in parte dovuta alla poca leggibilità di una tecnica pittorica che comprende anche l’utilizzo di amidi.
“Il disagio agiato e la nuova carne” – mostra a cura di Benedetta Monti ospitata nelle sale espositive di Palazzo Bronzo a Genova fino al 16 giugno – prende in prestito il nome da uno dei capitoli del libro di Vincenzo Susca, “Tecnomagia“. L’impianto espositivo – un dialogo tra ricerche differenti di altrettanti differenti artisti – propone una narrazione che insiste sul concetto di instabilità, annullamento e rinascita. Inaugurata durante i giorni della DIDE – Design Week di Genova – la mostra intreccia percorsi diversi che trovano un punto di risoluzione in quel senso di annullamento che è sempre seguito da una rinascita personale. Le opere vivono una dimensione fluida, ai margini, in continuo cambiamento. Quelli di Quartucci sono lavori che – caratterizzati da soggetti scuri dai toni freddi – restituiscono una condizione accogliente e allo stesso tempo perturbante. Al limite tra vita e morte, la sua pittura suggerisce una riflessione sulla fragilità della condizione umana. L’artista insiste servendosi dello sguardo come processo per riscoprire una dimensione della materia apparentemente non visibile, un carattere intimo dove proiettare il proprio io.
La ricerca di Zeppillo affronta una riflessione sul concetto di ambiguità, espressa in mostra attraverso un sistema meccanico a motore che riproduce un movimento continuo. Celata da un telo che interrompe lo sguardo, l’opera instaura un dialogo con l’osservatore che non può esimersi da una condizione di voyeurismo in parte necessario. Così come per Zeppillo, la ricerca di Silvia Capuzzo si esprime attraverso una pratica personale, intima, che presenta una complessa stratigrafia di livelli interpretativi. L’atmosfera generale dei suoi dipinti risulta incerta, sbiadita dallo scorrere del tempo. La gestualità che connota le sue composizioni è imprevedibile, una lente che mostra un aspetto intimo dell’artista radicato nell’incertezza.
Il progetto espositivo è accompagnato da una playlist – pubblicata su Spotify da Santa Radio – che prende in prestito il titolo della mostra e presenta al suo interno brani come Pasolini (Soundwalk Collective, Patti Smith) e il magazine Orlando, inteso come ulteriore riflessione riguardo la contrapposizione tra ambiente accogliente e respingente.