Un’innata capacità di unire il cantautorato napoletano alla musica elettronica in un qualcosa che molti hanno definito un nuovo genere musicale che si alimenta di contaminazioni sonore. Gaia Eleonora Cipollaro, in arte Dada’, dopo aver partecipato all’edizione 2022 di X Factor e aver pubblicato diversi singoli di successo, nel 2023 lancia “Mammarella”, un progetto musicale unico nel suo genere, a cui ha fatto seguito un tour ricchissimo di date. E il 2024 si apre con il nuovo brano “Doce Doce”, in cui rielabora lo storico jingle del Caffè Kimbo: un sound psichedelico incatenato a ritmi frizzanti, una miscela di sonorità innovative, calde ed ipnotiche accompagnate da lyrics cantate in dialetto napoletano, marchio di fabbrica del percorso artistico e musicale di Dada’.

 

Ciao Dada’, ti va di presentarti? Raccontaci qualcosa di te.
Ciao! Che dire, mi sono sempre sentita molto creativa da piccola e oggi scopro che quasi quasi può anche essere un lavoro. Ho studiato per anni musica classica per poi passare per il folk e approdare oggi, dopo il rifiuto dell’accademicità, a questa nuova sintesi che è DADA’. Vivo sotto la stella dell’accoglienza, della libertà e dell’istinto creativo.

Come è nato il nuovo brano “Doce Doce”? E perché proprio il caffè?
Mi è stato chiesto di rielaborare il jingle storico di Kimbo e l’ho impastato talmente tanto che è diventato il ritornello di un mio brano a cui stavo lavorando e che descrive il piacere di annoiarsi, perché nella noia c’è il seme per la creatività e per l’inventiva. Anche nel momento del caffè è possibile mettere in pausa il mondo per immaginarsi altrove o per dedicarsi a se stessi.

Hai definito questo nuovo brano come una “follia pop art”, ci spieghi meglio?
È stata definita una “follia pop art” sicuramente in primis per i colori e gli accostamenti visivi retrofuturisti e volutamente cangianti. Poi Andy Warhol è il padre di tutto ciò e ha avuto la semplice e immediata prontezza di associare i brand all’arte per esprimere il suo pensiero sulla società consumista di massa americana; io intreccio un brand al mio mondo artistico, perché, in maniera ottimista ed entusiasta, sono convinta che l’arte sia ovunque, anche in una pozzanghera in cui cade una foglia e traccia una scia di bollicine.

Napoli è sempre molto presente nella tua musica e soprattutto il tuo animus partenopeo. Che cosa significano per te le tue origini?
Napoli è una città molto touchy, impossibile schivare le sue carezze e i suoi schiaffi, ma soprattutto il suo solletico. È una realtà che ti lascia addosso il senso dell’ironia più saggia e del sentimento più sincero. Pulcinella, del resto, è simbolo di fragilità e di grande carisma insieme.

Le tue performance dal vivo sono sempre molto intense e particolari. Quanto lavoro c’è dietro?
Ho immaginato e immagino sempre tutto nel dettaglio. Il modo migliore per addormentarmi da bambina era immaginarmi minuziosamente in performance. C’è di sicuro tanto desiderio, lavoro e gavetta dietro, talmente tanto che oggi posso permettermi anche di prendermela un po’ alla leggera su alcuni punti. Su altri sto imparando a fare questo mestiere stesso sul palco e grazie al pubblico.

Come è stato portare in tutta Italia il tuo ultimo progetto “Mammarella”?
Inaspettatamente bello, passepartout per un tour di date grandissimo e variegato e per farmi conoscere anche nella mia vena più teatrale e profonda dal pubblico.

C’è un artista con cui ti piacerebbe collaborare per un brano?
Dico sempre Róisín Murphy!

Un sogno nel cassetto?
Non faccio scavare nessuno nel mio cassetto, per me è più intimo svelare un sogno che rovistare nel cassetto delle calze e delle mutande di qualcuno! Sono napoletana, un po’ di segreto e di suspence anche sui sogni ce l’ho nel dna. A Napoli si dice “Zitto a chi sape ‘o juoco”, ovvero: “Faccia silenzio chi ha scoperto il tranello, chi conosce il gioco”.