Il Pride è un contro-incantesimo: a questo penso mentre marciamo sotto il sole, uno contro l’altra, riempiendo le strade che, da Centrale, conducono verso l’Arco della Pace, tappa finale di questo piccolo, grande pellegrinaggio urbano che ogni anno rinnova in noi il senso della lotta e della festa.
È tutta questione di corpo e sensi lasciati aperti: prendere parte alla marcia per i diritti della comunità LGBTQ+ – esserci in prima persona, vedere con i propri occhi, farne esperienza diretta -, azzererebbe in un battibaleno la superstizione repressiva degli intolleranti. Essere qui oggi, 24 giugno 2023, in mezzo a queste facce ultravive, sorridenti e tutte diverse – adolescenti, bambini, seconde e terze età, amici, coppie, famiglie, donne, uomini, non binary, transgender, drag queen, performer, cagnolini rainbow -, stare dentro, col cuore e la testa, questa voglia di essere liberi e semplicemente in sintonia con ciò che si è (o si capirà di essere), fa capire in modo molto facile e diretto qual è la posta in gioco. Non c’è nulla di oscuro, morboso o patologico in questa nostra comunità, che negli anni sta trovando sempre più forza nell’allearsi e manifestarsi al mondo, con tutte le sue mille varianti della vera “normalità”. Non c’è nulla di pericoloso e sbagliato nell’amare chi, nei fatti, si ama e nel sentire di essere chi, nei fatti, si è, e l’esperienza periodica dei Pride offre a chiunque voglia rendersene conto la possibilità di farlo.
Il Pride milanese è cresciuto a dismisura e continua a farlo: oggi è davvero un abbraccio fluviale quello in cui ci immergiamo camminando al seguito dei tanti carri che diffondono per la città musica e grida di ribellione e di gioia. Trecentomila persone, secondo i dati ufficiali: la sensazione diffusa, tra i partecipanti, è che sia il Pride più affollato di sempre. Dentro ci sta tutto: gli sponsor e le soggettività anarchiche, i look più che ordinari e la pelle scoperta, lo slancio eccentrico e la quiete determinata della maggioranza. Il Pride è una pratica di mescolamento e disvelamento: ci fa rendere conto in quanti modi si può essere umani e stare insieme. Modi tutti validi, giusti, interessanti, checché ne dicano i tradizionalisti.
Noi siamo natura, avendo scelto di manifestare qualcosa che è nato con noi, un “ordine del cuore” che nessuno si è inventato o ha pensato di assumere/imporre per moda, ideologia, spirito del tempo. Anche noi siamo stati bambini – sbagliati, imbarazzanti, invisibili -, e per questo sappiamo che quando gli omofobi urlano in difesa dei bambini in realtà stanno barando. Noi siamo natura: “contro natura” sanno esserlo piuttosto il potere e le istituzioni, che spesso generano sofferenze inutili, sfregiando non solo la vita umana, ma il pianeta tutto, come purtroppo stiamo vedendo in questi nostri anni di ostinata indifferenza verso il tracollo ambientale. A lungo le discussioni in questi campi sono state strumentali e confuse: ora finalmente i termini iniziano a chiarirsi e le dinamiche problematiche vengono illuminate e rese evidenti, specie grazie ai più giovani, che non hanno ancora contratto il virus dell’indolenza.
Sabato mattina, prima della parata, un po’ per gioco e un po’ per cercare un’immagine che accompagnasse la festa, ho estratto una carta da un mazzo di carte a tema astrologico che mi è stato regalato qualche mese fa: è uscita quella del Sole in Aquario, il segno che, nel cerchio zodiacale, ci insegna a decostruire i confini dell’io, reinventandoci al di là dei recinti e dei copioni depositati. Che crediate o meno a oracoli e astrologia (forme queer di comprensione della realtà), l’ho trovata una sottolineatura del senso profondo del Pride. Non accettare di essere definiti dallo sguardo degli altri, soprattutto dallo sguardo di chi detiene il potere: l’avventura umana dovrebbe consistere nell’interpretarsi sulla base di ciò che via via si scopre di sé. Per questo la comunità LGBTQ+ è importante, e non solo come minoranza o gruppo oppresso: il valore delle sue vicende è emblematico per tutti, perché ricorda l’esigenza di emanciparsi dalle tenaglie che sempre tentano di amputare – tramite il dispositivo dell’uniformità – l’espressione individuale, il diventare sé stessi. Ciò che è bollato come osceno, vergognoso, storto, malato, spesso ha la sola colpa dell’ascolto di sé, della decisione di modellarsi, di volta in volta, nella sincerità di un rispecchiamento tra interno ed esterno. La contrapposizione in atto è, ancora una volta, quella tra sincerità e opportunismo, fedeltà al vero e manipolazione.
Noi non abbiamo scelto l’ipocrisia, la menzogna: non abbiamo scelto il calcolo, il ricco beneficio che la cultura eteronormativa e patriarcale sempre offre a chi la protegge e tramanda, incarnando i suoi modelli e occultando gli scarti, le anomalie. Viviamo esposti, assumendo su di noi, sui nostri corpi, il rischio di questa diserzione. Eppure sappiamo ancora ballare e cantare, sotto il cielo e per le strade del mondo: il miracolo tutto terreno delle parate arcobaleno passa anche da qui. Vivi insieme, scomposti e innamorati, come e più del solito: un rito stordente e insieme lucidissimo, che invoca l’irruzione del futuro, del tempo della verità e dell’amore, l’unico in grado di sostituire la lunghissima, insensata stagione dell’odio e delle bugie. Di tutte quelle bugie che cercano di rendere il mondo un
posto più piccolo e cattivo di quello che è e, nonostante tutto, continua a essere.
Il Pride è un contro-incantesimo e noi siamo sempre qui, in marcia anche quando non sembriamo esserlo più. Resistiamo a colpi di amore e realtà, ora nel silenzio, ora nel clamore, finché le condizioni lo richiederanno.
photo by Stefano Rosselli
art direction Nicola Pantano