Non è facile recitare una poesia senza risultare meccanico, eppure l’arte di David LaChapelle è una recita artificiosa che si serve di emotività e finzione per narrare un mondo feroce e realista. Una recita liturgica che nasce dal desiderio di calare lo spettatore in un mondo surreale, quello di LaChapelle, dove dietro richiami tanto classici quanto pop vive un messaggio di umana evasione. Nasce così la mostra “I Believe In Miracles”, fino all’11 settembre 2022 al Mudec di Milano: un percorso espositivo con più di 90 immagini che narrano il legame di LaChapelle con la fotografia d’autore, con la Terra, il sacro e le sue origini.

L’artista americano ha più volte ricordato l’importanza nella sua ricerca artistica della sua infanzia, della figura materna e quella paterna che lo hanno accompagnato in una crescita emotiva lunga e complessa. Di origini europee, la madre di LaChapelle lo ha educato alla “cura” in ogni sua forma, da quella del bello esteriore a quella dell’anima. Lo ha avvicinato al concetto di “attenzione singolare”. Al contrario, la figura del padre, di – tiepida sensibilità -, come lo stesso artista dice, lo ha educato ad un approccio più pratico, ma dal quale ha appreso la lezione realista della vita, fatta di lavoro e dedizione. Ognuno, in parte, ha contribuito a definire le mura di questa realtà irreale che LaChapelle porta dentro e fuori di sé.

“Land Scape: Kings Dominion”, La Jolla (California), 2013, ©David LaChapelle

La forma di sacralità che abita gli scatti fotografici di David LaChapelle ha a che vedere con una forma molto più emotiva di autodeterminazione. In ogni composizione fotografica, filtrata con divertita provocazione e da un ampio uso del nudo, il soggetto sembra appartenere ad una dimensione onirica e fantastica, come un divo pagano che abita il centro della scena. La vicinanza al tema del sacro proviene dallo studio dell’iconografia classica che si rivela formativa da subito nei primi lavori, in mostra nella prima sala, dove la tecnica è protagonista. Solo più tardi la creatività acquisirà il suo ruolo principale. Sempre più tardi arriveranno le collaborazioni con nomi noti (da Kanye West a Naomi Campbell), che come attori e modelli, interpreteranno in pose statiche, le più importanti figure dei testi sacri.

ph. ©julehering
ph. ©julehering

La mostra non segue un ordine, e questa è una delle connotazioni delle esposizioni dell’artista. Si passa da un decennio ad un altro soltanto discostando lo sguardo di poco, eppure quel senso di smarrimento è proprio dell’arte di LaChapelle, dove tutto è così personale che anche l’ordine viene riscritto da ogni spettatore. Senza una regolare successione temporale, questa narrazione fotografica raccoglie una selezione delle opere più conosciute che spazia da scenari idilliaci ad altri post-moderni. Come “The Delegue” e “After The Delegue”, del 2006 e 2007, nelle quali si mostra la vicinanza dell’artista all’ambiente, al verde impetuoso che avvolge alcune serie, ricordando quella forma di cura da dover preservare per il domani della Terra. E dal tema naturalistico si passa ad uno urbano come in “Land Scape” del 2013, dove desolanti paesaggi cittadini fanno da sfondo a messaggi di denuncia ambientale.

Dissacrante ed eccessivo, David LaChapelle è l’interprete ideale del presente. Emotivo e contemporaneamente insensibile, mostra la parte buia della società senza esprimere un giudizio, ma solo accendendo interrogativi su temi comuni, ricordando a chi osserva che dietro ad un immagine si nasconde un “miracolo”.