I tempi scorrono e con questi i suoi codici espressivi, e quello che un tempo era nuovo potrebbe ora essere un reperto museale da archivio storico, lasciato a risplendere di una luce ovattata e polverosa. L’innovazione e la rilettura degli anni permettono che non esistano più reperti storici, ma aggiornamenti contemporanei di un’idea che ha solo il concepimento legato al passato. È il caso di diverse maison della Couture francese che, dopo il lustro di anni in vetta all’Olimpo dell’arte indossata, diventano nomi antiquati da riporre, perdendo così l’accesso al presente. Tra tutti spicca il nome di Schiaparelli, che dopo anni fantastici dove l’abito era metafora di una doppia esistenza firmata dal surrealismo di Dalí, Man Ray, Jean Cocteau e Marcel Duchamp, improvvisamente scompare, e quel bagliore dai mille colori diventa un vago ricordo. Ma evidentemente ricordo non significa fine, ma speranza in un nuovo principio. E tra tutti i principi artistici che si potevano immaginare, quello di nome Daniel Roseberry di certo è il più auspicabile e al contempo il più sorprendente.

Il trentenne americano del Texas, che ci ricorda un Tom Ford che sbarca in Europa, è tutt’altro che un nostalgico e un malinconico, al contrario è un fervido interprete del presente che conosce la storia e in questa abilmente cerca il suo spazio. E così, tra un’archivio storico ricolmo di creatività e passato e un foglio bianco, anzi rosa shocking (il colore simbolo della maison), il salto è breve, anche se complesso. Non si tratta più solo di riattualizzare un linguaggio ormai obsoleto, ma di reinterpretarne una grammatica artistica rendendola più vicina allo slang del presente.

Il tocco di Roseberry è impercettibile eppure evidente: dal colore, che smette di essere il solo protagonista, abbracciando un più austero nero che conserva la formalità dell’Alta Moda, alla forma, che muta in una shape ragionata ed elementare, ma pur sempre fantastica e surreale. Passando per la ricerca, immensa, che spazia dall’arte alla letteratura francese, dal concetto di icona a quello di iconografia. Non è solo un alternarsi di forme ed immagini che si materializzano in un processo di concretizzazione del disegno astratto che spazia tra il Surrealismo ed il Futurismo, ma una storia fatta di parole che si indossano, ricordando uno dei principi del brand, quello di creare l’arte del parlare di sé attraverso un abito.

L’ascesa ed il ritorno sulla scena della casa fondata da Elsa Schiaparelli si deve in parte anche ad una comunicazione che si estende al di fuori della cerchia intellettuale (come lo era un tempo), con figure trasformiste come Lady Gaga, che ricordano i performer degli anni della fondatrice, solo ora su palchi internazionali lontani dalle mura istituzionali di musei e gallerie.

Un percorso in salita con una grande spinta verso l’estrazione, come se più ci si avvicinasse alla cima e più l’abito diventasse idea, quasi ad invertire il meccanismo creativo, che vede prima la concezione ideale e poi, solo per ultimo, l’abito realizzato.
Roseberry conosce quanto sia scivoloso il terreno dove sta camminando, eppure sembra eseguire salti mortali cadendo sempre in piedi.

La nuova disciplina di Schiaparelli è di certo più rigorosa, più elitaria, ma anche ricca, ludica e coinvolgente. Sembra di far parte di un dipinto animato quadridimensionale, dove muoversi tra sculture d’oro, come orecchie giganti che diventano pesanti orecchini e occhi di perle nere che mutano in occhiali estetizzanti, è un’esperienza da fare almeno una volta tra le mura dell’atelier di place Vendôme.

La pesantezza non sempre significa austerità, ma serietà: consapevolezza e conoscenza, e la Couture è di certo un gioco, serio e responsabile. Così in una veste più solenne di direttore creativo, il giovane texano dovrà continuare a far sfogliare ai suoi spettatori volumi d’arte e riviste rock con una mano sola, in una camera larga abbastanza per ospitare passato e presente, con la porta sempre aperta per l’ultimo invitato: il futuro.