Piemontese di nascita, pugliese d’origine e veneto d’adozione Enzo Fusco incarna le migliori peculiarità dei luoghi della sua vita: rigore, cordialità e coraggio di osare. E la chiacchierata intercorsa in occasione di questa intervista lo conferma. La FGF Industry, azienda nata nel ’98 da una sua idea, che oggi annovera brand di proprietà come Blauer USA, Nylolite, Ten C e BPD, riflette lo spirito imprenditoriale e avanguardista del suo fondatore, Enzo Fusco, che, insieme agli altri membri della famiglia e ad un team vincente, da una piccola realtà made in Italy è riuscito a renderla una holding internazionale in continua ascesa.

Lei guida una delle aziende italiane più solide e di successo del panorama della moda. Come sta attraversando la FGF Industry questo periodo un po’ “burrascoso”?
La nostra azienda, con i nostri brand – e lo dico sotto voce – sta andando molto bene. Forse anche perché abbiamo fatto delle scelte che ci hanno poi premiato. Abbiamo avuto il coraggio di produrre ugualmente, nonostante la pandemia, e siamo andati incontro ai nostri clienti, posticipando i pagamenti. Ma non solo. Attualmente, la FGF è un’azienda in continua crescita, di stagione in stagione. Non nascondo, però, che se da una parte siamo contenti, dall’altra personalmente sono preoccupato per quella che è la situazione attuale nel mondo. 

Come sta procedendo l’andamento dei mercati per i vostri brand?
Per quanto riguarda Blauer USA, le vendite sono incrementate molto anche in questa stagione. Negli ultimi due anni il Covid da un lato ci ha fatto male, come più o meno a tutti, ma, dall’altro, il lavoro è aumentato moltissimo. E questo, come dicevo, è per via delle politiche aziendali che abbiamo adottato e che ci hanno ripagato. In Italia, con Blauer USA, abbiamo chiuso la stagione invernale con +30% e l’estero con +45%. E teniamo conto che con questo brand non vendiamo ancora né in America né in Asia. Si tratta di grossi Paesi in cui dobbiamo ancora introdurci, ma è necessario farlo nel momento giusto e con il partner giusto, perché altrimenti si rischia di bruciarsi il mercato. Sono cambiati i tempi riguardo alla vendita ed è importante aprire una struttura con un partner forte, altrimenti è molto complicato. Step by step arriveremo con Blauer USA a conquistare anche questi mercati, perché si tratta di un brand sano, che porta del buon margine, e di questi tempi è una gran cosa!

Quindi tra gli obiettivi del futuro rientra anche quello di conquistare questi nuovi mercati? 
Se parliamo di Blauer USA ci vogliamo orientare su tutto il mondo asiatico, Corea, Cina e Giappone, oltre all’America. Ma, come dicevo, dobbiamo farlo bene, altrimenti perdiamo in partenza il mercato. Poi, oggi, un occhio di riguardo va dato senz’altro anche al digital, che ha la sua notevole importanza. Noi abbiamo un e-commerce, italiano ed europeo, che funziona e vende bene, con una percentuale di resi molto interessante.

E riguardo a Ten C, che tipo di strategia è stata intrapresa? 
Ten C è la nostra linea più luxury e ci sta regalando delle grandi soddisfazioni. Con Ten C, rispetto a Blauer USA, abbiamo una distribuzione molto più selezionata e vendiamo quasi in tutto il mondo. Siamo presenti anche in America, in Giappone e in Corea. Ten C sta diventando davvero un gran bel marchio, lo dimostrano i risultati e noi siamo molto contenti di questo.

A proposito di Ten C, a caratterizzare lo stile di questo giovane brand è uno stile army.
Beh sì, diciamo che per noi rappresenta un po’ il nostro dna, il militare rivisto e corretto, in certi casi diventa un po’ più urban, però la matrice è sempre quella. Poi, a rendere un capo Ten C unico nel suo genere è anche il fatto che vengono proposti materiali unici ed eccezionali, tinti in capo, mischiati ad altri materiali, ovviamente con tutti i problemi annessi e connessi, perché non è così semplice assemblare e tingere materiali diversi tra loro. Tuttavia, noi abbiamo l’esperienza per farlo e il risultato alla fine sono dei pezzi quasi artigianali da vedere e toccare. 

A proposito di materiali, immancabile nelle collezioni di Ten C il tessuto OJJ, che solo FGF Industry in Italia rielabora e adopera. Che cosa lo rende così speciale?
È una microfibra giapponese in poliestere e nylon, magnifica, che per l’appunto riusciamo a lavorare solo noi, tingendola in capo. Perché il poliestere necessita di essere tinto con delle macchine speciali a pressione ed è proprio questo trattamento particolare ad aver fatto “partire” il marchio. Poi, siamo stati anche abili nel combinarlo con altri materiali, così come a costruire un total look, che sta piacendo molto. Abbiamo venduto molto bene, infatti, la felpa, i pantaloni, la maglia insieme a moltissimi piumini. Questi ultimi non sono realizzati con tessuto OJJ, però, il fatto di aver saputo mixare i cotoni e i nylon con l’OJJ e di aver portato una proposta più fresca anche riguardo ai piumini ci ha ripagato moltissimo. 

Quindi si può dire che anche con Ten C i risultati sono buoni?
Sì, basti pensare che in confronto all’inverno scorso abbiamo raggiunto più del doppio del fatturato. Se devo fare un bilancio della stagione direi che è più che positivo su tutte le linee, perché c’è stato un buon sell out da parte dei clienti. La preoccupazione di cui parlavo prima – e che riguarda un po’ tutto il nostro settore – è in merito alla P/E in corso e all’inverno prossimo che stiamo già producendo, per cui ci siamo già esposti molto anche a livello di investimenti, ma non sappiamo quello che accadrà da oggi a luglio/agosto/settembre. Io sono un’ottimista, ma alcune riflessioni è giusto farle.

Uno dei grandi focus del momento per le aziende è la sostenibilità, che FGF Industry ha dimostrato in molteplici occasioni di avere a cuore. In che modo, in particolare, vi siete approcciati a questo tema?
Noi, specialmente con Blauer USA, siamo stati tra i primi ad essere green al 100%. Abbiamo iniziato tanti anni fa, adoperando la piuma riciclata, che è stata piuttosto apprezzata e poi con materiali simili alla piuma, ma sintetici, che garantiscono performance eccezionali e con un fill power (la capacità della piuma di occupare volume e conferire calore garantendo la massima leggerezza, ndr) come quello della piuma naturale. Il 50% dei piumini è realizzato con un materiale sintetico, il PrimaLoft, che è un’alternativa sintetica al piumino, concepita per ovviare al problema della piuma che, in caso di pioggia, neve o sudore, può ridurre notevolmente le proprietà isolanti.  Adoperato dai militari americani è un materiale impermeabile che si ascuga in fretta e questo per noi è un’innovazione importante, perché offre il calore del piumino, anche da bagnato. Infine, dalla plastica riciclata, ricaviamo sia il nylon sia gli interni dei piumini e delle giacche. Dieci anni fa è stato complicato far comprendere il concetto di green, oggi lo sono tutti. Dalla chiusura delle vendite si evince che quasi il 50-60% riguarda capi realizzati con questi materiali. Siamo green e lo saremo sempre di più, sia per una questione di prezzo sia per una questione di etica, l’importante è offrire la qualità ad un prezzo corretto. 

Con la P/E 2022 continua la collaborazione tra Ten C e l’illustratore Gang Box. Che tipo di lavoro è stato effettuato sui capi della nuova collezione?
L’artista ha realizzato alcuni disegni che sono stati proposti su quattro capi (tre t-shirt e una felpa, ndr). È ormai la quarta stagione che lavoriamo con lui, dopo Sacai, che ci ha dato una bella “spinta” iniziale. Ora ci stiamo muovendo, per l’inverno prossimo di Ten c, per realizzare una nuova collaborazione con un altro personaggio importante. Vorremmo fare qualcosa di simile a quanto è stato fatto con Sacai, una speciale capsule di quattro/cinque capi, non di più. Erano talmente sensazionali da aver venduto tutto dopo solo quindici giorni dalla consegna in negozio, naturalmente solo nei negozi di Sacai.

Chiudiamo con una curiosità. Come nasce il nome Ten C?
Non l’ho scelto io! Ten C è nato da un’idea del designer Alessandro Pungetti, ancora oggi operativo. Alessandro disegna, mentre io sono il direttore creativo. Ho comprato anni fa il marchio Ten C, che esisteva. Il suo nome è ispirato alla favola di Hans Christian Andersen “I nuovi vestiti dell’imperatore” che insegna a guardare oltre ciò che ti viene detto di guardare e di giudicare quel che realmente appare.