“L’occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse già simile al sole”, si legge nell’Eneide: in una sola frase viene spiegato la capacità dell’uomo di riconoscere ciò che già ha conosciuto, in un rapporto di dipendenza dalla conoscenza. È questo il principio della ricerca artistica che caratterizza l’arte di Michael Anastassiades, che con le sue installazioni si interroga sulle fondamenta dello scibile umano e come questo travolga lo spazio circostante.

L’artista cipriota attua un ribaltamento dell’ordine sociale al quale ci si è abituati ovvero spostando l’uomo dalla centralità della sua posizione e ponendo al suo posto tutto ciò che è esterno: in primis l’ambiente. L’ambiente, come nota Anastassiades, è la sola solidità che si ha, la certezza sulla quale se ne costruiscono di nuove. Dal regno vegetale, che con la sua gentile sottomissione illude l’uomo di poterla controllare, fino al nuovo regno, quello fatto di costruzioni e sovrastrutture, lo spazio impone un suo ritmo e gradualmente svela le sue parti.

Nel progetto “Cheerfully Optimistic About the Future”, di recente in mostra alla Fondazione ICA di Milano, Michael Anastassiades realizza un’installazione formata da luci a led sostenute da bambù in una camera dall’aspetto industriale. L’artista, in questo progetto, mostra proprio quell’interazione tra l’uomo che costruisce sull’esistente – come il led sostenuto dalla pianta di bambù – in un dialogo forzato tra un’accondiscende natura e un dispotico uomo. Il risultato di questo dialogo permette allo spettatore di scoprire il precario equilibrio che lega l’umanità all’ambiente e sopratutto indaga le componenti della macchina del sapere che si alimenta di novità derivanti dall’impatto creato dalla scoperta.

Un giardino sospeso, dove Anastassiades cammina cautamente, nel tentativo di replicare la relazione ambiente-vista- mente. Ogni passaggio del processo è reso possibile dalla luce – da quel led sospeso – che come sostiene l’artista è il vero e insostituibile supporto della mente. La luce è la chiarezza, che rende visibile come l’ambiente passi per gli occhi e venga analizzato da questi, per poi andare ad essere catalogato nella mente. A differenza di come si può intendere, la luce non è metafora del bene, ma strumento super partes del processo.

La nostra è una società che investe il suo futuro sul presente e dimentica di dover rendere solido il suo passato, dove le sue radici stanno per cedere al peso dell’imperativo “adesso”. Come recita il titolo della mostra alla Fondazione ICA “Cheerfully Optimistic About the Future”, si è ottimisti sul futuro, ma come ci si comporterebbe se le crepe di questo sistema si mostrassero? Forse non si parlerebbe più di equilibrio, ma di una fune che si consuma e che necessita di un’intervento di sostituzione, eppure vorrebbe dire, anche se solo per poco tempo, interrompere quel collegamento tra l’ambiente e l’uomo, spezzandone la conoscenza di quest’ultimo.

Così nasce l’interrogativo fondante, se l’uomo sia l’immagine animata dell’ambiente circostante. Un’analisi complessa, che, in uno spazio espositivo apparentemente spoglio, ricorda una giungla urbana dove i frutti dei suoi alberi non possono essere assaggiati, perché legati da cavi elettrici con il compito di renderli appetibili alla vista.