“Credo che le parole, in quanto suono, abbiano un forte potere evocativo. Il suono ‘gn’ dato dalla tilde ispanica conferisce al mio nome una forza, un’energia quasi dispettosa che è sicuramente rintracciabile in molte delle mie canzoni. Allo stesso tempo, però, La Niña vuol dire anche ‘la ragazzina’, e io è così che mi sento, un’eterna bambina. Per questo la mia musica è così nostalgica”.
Un nome che rispecchia il movimento del suo essere e che sa evocare l’alternanza di dolcezza e aggressività che da sempre la caratterizzano, sia come persona sia come artista. Da Niente Cchiù a Croce, passando per Salomè, fino ad arrivare a Fortuna, La Niña arriva con il suo nuovo pezzo TU e con un video diretto da Attilio Cusani. Una canzone che racconta di amore e coraggio: “Forse la mia prima canzone d’amore”. Napoletana di nascita e cresciuta a San Giorgio a Cremano, la città di Troisi, La Niña spiega che: “Crescere a Napoli vuol dire imparare da subito le contraddizioni dell’amore. Non puoi non amare Napoli, sarebbe come sottrarsi all’amore di una madre, una madre che, tuttavia, spesso ti abbandona”. Nel corso della sua vita ha vissuto anche in altre città, ma ciò non ha mai scalfito il suo legame viscerale con questa città che considera: “Un luogo magico che trasuda storia e tradizione e che mi permette di assaggiare l’eternità, perché pur vivendo nel futuro, chi nasce a Napoli resta un’anima antica”.

 

Nelle sue produzioni, infatti, troviamo spesso riferimenti al passato e alla mitologia: “Trovo che i racconti mitologici siano quanto di più profondo e paradigmatico della condizione umana sia mai stato prodotto dall’umanità letteraria”. Il timore reverenziale che sostiene le narrazioni mitologiche è ciò a cui vuole ricongiungersi tramite il suono della sua musica: “Come se con le vibrazioni della mia voce cercassi di avvicinarmi al divino che è nelle cose, analogamente ad un monaco buddhista che intona l’OM durante la meditazione”.

Napoli è la tua casa, le tue radici, ma anche Milano ti sta aprendo le porte. Cosa pensi di queste due città? Quali sono le differenze e le similitudini tra loro?
Napoli ispira e dispera, è una città che per varie ragioni geopolitiche antichissime ti abbandona un po’ a te stesso. Resti inspiegabilmente legato a Lei in maniera viscerale, eppure non c’è giorno che non ti faccia soffrire. Anche Milano mi sta dando tantissimo, d’altronde la discografia a Napoli è quasi inesistente, l’industria musicale è sempre stata milanese. Tuttavia, Milano è – artisticamente parlando – una direzione per me, mentre Napoli è la mia direttiva. Milano funziona, Napoli si rompe di continuo. Entrambe le città hanno anche molto in comune, sono multietniche e piene di storia, rumorose e cariche di magia. Ma Napoli ha una dannazione che Milano non conosce, eppure eccomi qui.

TU è il tuo nuovo singolo. Ci racconti un po’ di questo nuovo pezzo?
Il video è stato diretto da Attilio Cusani, è la prima volta che collaboriamo e posso già dire che è stata un’esperienza molto importante per me. Anche il lavoro fatto con il coreografo Daniele Vitale è stato fondamentale, abbiamo danzato insieme questa storia d’amore tormentata ed è stato per me edificante e liberatorio. Quando ho scritto TU mi sono accorta che avevo imparato ad amare, perché ciò che il mio cuore più si augurava in quel momento era la felicità di qualcun altro e non la MIA. Amore e coraggio sono una cosa sola, non c’è spazio per la paura, l’ho capito sul campo di battaglia, mentre combattevo per veder spuntare un sorriso sul volto di chi amo.

Non canti soltanto, ma ti esibisci, creando delle vere e proprie narrazioni, delle performance che partono dalla voce e si estendono anche attraverso il corpo, con una comunicazione visiva forte e curata nei minimi dettagli. Quanto è importante tutto questo?
L’aspetto visivo è fondamentale, nel momento stesso in cui scrivo una canzone già la “vedo”. Sono amante del teatro, della performance, delle arti visive in generale e non posso fare a meno di interpretare le canzoni con il corpo, di ballarle e di accompagnarle con immagini forti ed evocative di un universo complesso e, a tratti, onirico. In questo sono affiancata da KWSK NINJA che cura tutte le grafiche del progetto, oltre a girare i video e produrre i brani. Senza il suo prezioso contributo, non riuscirei a dare vita alle mie visioni. Anche l’ingresso nel team del mio amico e designer Salvatore Vignola ha reso questo percorso ancora più bello, i suoi costumi sono una parte fondamentale del mio racconto.

Sei passata dal cantare in inglese con Yombe al napoletano, lingua non comprensibile subito a tutti rispetto all’inglese. Perché questa scelta e che rapporto hai con questa lingua?
Ho sempre suonato in altre band come turnista e ho avuto anche un altro progetto nel quale cantavo in inglese, ma entrambe le esperienze mi hanno insegnato che stavo mettendo troppa distanza tra ciò che ero e ciò che cantavo, le due cose non coincidevano. Adesso è tutto diverso, forse anche perché il napoletano è una lingua talmente viscerale che riesce a prendere Lei il controllo su di te e non viceversa. A volte, l’unico modo per trovarsi in equilibrio è perdere totalmente il controllo. Inoltre, stiamo assistendo a livello globale a una riscoperta delle radici che però va oltre il recupero nostalgico della tradizione, ed è bellissimo vedere come il presente sia ancora legato al passato, come le due direzioni del tempo si diano forza a vicenda invece di annullarsi. Quando scrivo, sento che mi prendo gioco della temporalità, perché sono così profondamente ed inconsapevolmente legata alla mia terra che, pur amando la contemporaneità, ciò che di antico c’è in me torna inevitabilmente a galla, ed è lì che capisci di non avere il pieno controllo, è lì che inizia la magia.

Utilizzi la tradizione come base da cui prendere spunto e la trasporti nel presente reinventandola a modo tuo, in maniera moderna e femminile. Che legame hai con il passato che ti permette di esprimere in modo così sincero e libero la tua essenza?
Non ho mai avuto intenzione di raccontare Napoli e le sue tradizioni, lascio solo che queste emergano in modo naturale quando racconto la mia vita, fatta di storie mie e altrui, di sogni e incubi, illusioni e speranze. Credo che la lingua plasmi il pensiero, così come il luogo in cui nasci, cresci e la cultura in cui sei immerso sin dalla nascita plasmano la tua vibrazione interiore.

In qualità di artista, senti di avere dei doveri?
Non ho mai vissuto l’arte come un compito o come una missione nata su di una base deontologica. Per me l’arte non ha doveri da assolvere quanto risposte da sciogliere. Sento la musica come esistenza, come ontologia e non come  deontologia.

Sappiamo che rifiuti orgogliosamente qualunque definizione, perché preferisci fare, agire e lasciar parlare la tua arte per te, ma se dovessi descrivere La Niña attraverso un libro o un mito, quale sarebbe?
Sarebbe probabilmente quello di Orfeo ed Euridice. L’amore per la musica mi fa superare la paura di esplorare gli abissi del mio essere, ogni volta che scrivo è una discesa negli inferi e con il tempo ho imparato a non bruciarmi e a sublimare le fiamme in tepore.

Ogni tuo brano è a sé e racconta una storia diversa, sia per il contenuto della narrazione sia per l’estetica, ma riesci comunque a mantenere una coerenza musicale. Come?
Vivo la musica come libertà, per questo le mie canzoni sono così diverse l’una dall’altra, perché assecondano i miei mutamenti interiori.

Cosa ti aspetti tu dal futuro e cosa ci dobbiamo aspettare noi?
Io non mi aspetto nulla in particolare, per me il futuro è ora. Voi aspettatevi di essere stupiti.

 

 

photographed by Teresa Ciocia
creative direction and styling Nicola Pantano
styling ass. Luciana Guarino
mua Greta Agazzi
hair Carlo Ruggiu
wardrobe Salvatore Vignola