Nel 1962, il teorico Bohan disse: “È compito dell’uomo abbracciare quante più identità possibili”, riferendosi a quante forme di umanità esistano e a quante poche ancora ne conosciamo. Un termine complesso come quello della pluralità, così ampio e a volte generico, rappresenta le fondamenta dei tempi contemporanei, che rifiutano il bigottismo antico, per aprirsi alla moltitudine dell’uomo. È sotto questo segno di apertura, come una grande casa che gradualmente amplia le sue mura, che si inaugura la Milan Men Fashion Week F/W 23-24, in un susseguirsi di appuntamenti, che ora più che mai appaiono fisici e avvolgenti, lontani dallo streaming delle stagioni passate.

Un’edizione sorprendente, che – nonostante si sia reduci da mesi pieni di rivelazioni e cambiamenti interni dei brand (Raf Simons interrompe il suo brand, Alessandro Michele lascia la direzione creativa di Gucci) e per via di qualche assenza dal calendario – costruisce il grande guardaroba della moda maschile F/W 23-24 su due macro temi: genere e tecnica. Il primo per le innumerevoli apparizioni di gonne sia lunghe sia mini, il secondo per l’uso sartoriale di linee sempre più decise e meccaniche, così diverse da quelle ondulate e morbide del pre-pandemia.

Una stagione di andate e pochi, se non inesistenti, ritorni. Il primo ad aver presentato la sua F/W 23-24 è Gucci, senza Michele, in uno show creato in autonomia dal team creativo interno (sempre sotto lo sguardo mercatoriale di Pinault), rivelando una lotta tra passato e futuro, in quello che possiamo definire “uno show di transizione”. Un interregno dove smarrirsi tra grunge, rock e quel british preppy tanto caro all’ex direttore creativo, volto a ripulire l’estetica a livelli vissuta nel brand dal 2015, lasciando spazio all’arte dell’improvvisazione. Colma di omaggi, dall’era di Tom Ford al primo show di debutto di Alessandro Michele, è una collezione concepita per colmare un vuoto senza intervenire in modo diretto, dimostrazione che per ora resta l’incognita su chi sarà domani il nuovo genio creativo capace di continuare la golden era del brand.

Se il team di Gucci guarda al domani, per il duo Caten di Dsquared2 il passato è una culla di ricordi. L’età del possibile, l’adolescenza di una maturità lontana e quell’infantile ondata di leggerezza sono le coordinate temporali dietro la F/W 23-24, che recupera dall’archivio cinture maxi logo, denim low-waist e micro top capaci di ribaltare la mascolinità tossica semplicemente esibendo una libertà espressiva “sbottonata” propria dei teenager. “Chi meglio di loro sa che voglia dire vivere senza rinunce”, dicono i gemelli Caten, spiegando uno show che vuole riportare il pubblico agli albori di una sensualità che si scopre e di un corpo che si spoglia sotto l’occhio critico delle vecchie generazioni, in una stimolante provocazione. Sempre di sensualità, ma più matura e meno ostentata, parla Dolce&Gabbana con una collezione noir che ritorna all'”Essenza”, come da titolo della F/W 23-24. La sartoria del completo maschile unita alla leggerezza di maglie velate, a volte ricamate, riportano l’attenzione sul concetto di corpo vestito di un ruolo di genere, solamente più fluido, che non si classifica nel nodo di una cravatta, ma nell’uso di contrasti che ne impreziosiscono l’unicità, come i corsetti sulle camicie bianche, richiamo della F/W 97.

Lontano dalla sensualità, ma vicino ad una nuova praticità, Fendi ridefinisce il rigore modernizzandolo. Dalla scenografia dell’artista Nico Vascellari alla musica alla “Flashdance” del compositore Giorgio Moroder, la F/W 23-24 di Silvia Venturini Fendi porta il guardaroba maschile davanti a un bivio apparente tra discodance e classico. Da una parte, l’uso del viola, grigio e le tinte metalliche costruiscono l’uomo disinibito, dall’altra, il taglio asimmetrico dei colli, le pieghe di pantaloni e giacche ricordano la divisa maschile senza tempo, ma entrambe le correnti immaginano l’uomo futurista, che coniuga praticità e rigore, avvolto dalla sicurezza di un sorprendente cappotto-blanket.

Sicurezza, protezione e tradizione sono le parole a descrizione della F/W 23-24 di Federico Cina che non parla di un uomo, ma di un luogo dell’infanzia. Intitolata “Appartamento”, la collezione fatta di una predominante maglieria vuole suscitare un ricordo, una carezza, all’interno delle mura della casa dei nonni, dove tutto, a detta del designer, è l’immagine astratta di un’emozione che si traduce in ricami e stampe: un elogio alla manualità lenta dell’artigianato. Sempre lento e illusoriamente antiquato è il passo dell’uomo impegnato di Magliano, che con la sua collezione narra di rivoluzione ed emancipazione sociale. La working class, con le sue battaglie e le sue vittorie, è il riferimento artistico costante del brand. Amante dell’aspetto storicizzante dell’abito, capace di rivivere dietro un simbolo come una tuta in denim, a ricordo delle divise dei lavoratori delle industrie, e un maglione usurato, a richiamo delle proteste dei giovani studenti degli anni ’70, Magliano è un raro esemplare di rivolta silenziosa che, dall’abito al casting multi-age, mette in discussione il sistema precario della società.

Al contrario, per Etro, al suo esordio nell’uomo con il nuovo direttore creativo Marco De Vincenzo, la cura è rivolta ad un sistema fatto di radici e famiglia. Una grande casa, spoglia di mobilio, ospita i codici del brand: dal Peasley rivisto alla maglieria, ogni parte della F/W 23-24 rivendica un senso di appartenenza ad una casata storica che concede a De Vincenzo l’opportunità di guidarla, stando attento a non stravolgerla. Il neo designer dice di stare inserendosi con cautela nel tessuto familiare del brand e che, come si vede già da quest’ultima collezione, si stia unendo in un sodalizio artistico.

Un sodalizio già consolidato e funzionante è quello di Prada, che nell’ultima F/W 23-24 celebra l’abito come risultato di tecnica e funzione. Una collezione chirurgica, che spoglia l’uomo per far risaltare l’indumento, come autosufficiente. Per il duo creativo Prada-Simons, in un tempo odierno dove tutto è centellinato, l’abito deve essere quantificato qualitativamente, ma rispondere solo alla manualità del suo creatore: la macchina, l’uomo. Un discorso bivalente che tratta puramente di abiti, come suggerisce il titolo “Let’s talk about clothes”, e che vuole invitare ad immaginare l’uomo come ospite dell’abito e per la prima volta non il contrario, attribuendo al ruolo di designer quello di architetto di uno spazio modulabile, intessuto, ed indossabile. “L’abito attribuisce un significato e l’uomo non lo sa”, afferma Miuccia Prada, ribadendo un discorso antico del quale si è fatto portatore Martin Margiela, citato con i bianchi puffer jacket apparsi nello show, riferimento precisamente alla S/S 90.

Senza cenni storici, ma puramente contemporanei, JW Anderson presenta il suo enfant merabilleus. Un uomo che con coraggio si mostra fragile, anche perché incapace di nascondersi dietro sovrastrutture. Dall’uso della pelle multicolore per minigonne e top alla giocosità delle clogs, l’immaginario di JW Anderson è l’incontro tra il guardaroba adulto e la fantasiosa realtà fanciullesca, come risposta spontanea alle imposizioni sociali in un tempo dove l’omologazione ancora resiste. Senza similitudini con nessun’altra, Zegna chiude il calendario. Lavorazioni sartoriali, sperimentazioni tessili ed un sapiente uso di linee e proporzioni mostrano la nuova maturità dell’uomo di Sartori, sempre adulto, ma meno classico, grazie ad un modern tailoring fatto di costruzioni a contrasto, pur sempre con un’unica fondamenta comune: il cashmere. Un’innovazione che smuove la staticità della sartoria, puntando alle nuove generazioni.

L’uguaglianza tra dovere sociale e dovere morale, che vede l’uomo come immagine del suo ruolo di genere, in una omologata società dominata del giudizio sociale, nella F/W 23-24, viene interrotta grazie all’intervento del “senso multiplo”, cioè quell’annullamento di un’unica identità e la nascita della molteplicità dell’Io. Diverso e unico, l’uomo è il risultato di esperienza e tecnica e differisce da chiunque altro per l’approccio smisurato al domani, come costante desiderio di scoperta.