Le luci infrante tra i vicoli di una città immonda, la corruzione sensoriale dell’anima e la devastazione personale davanti al piacere accessibile, sono i tre ordinamenti di una vita corporea votata alla divulgazione di un messaggio unico: vivere. Pier Paolo Pasolini, friulano di nascita e romano d’adozione, è stato protagonista dei tempi e antagonista sociale, con la sua vita, trascorsa tra la leggerezza della carta scritta e la pesantezza del giudizio altrui, ha vissuto nella pienezza dei sensi ed è il suo testamento cine-bibliografico, fatto non solo di commedie e poesie, ma anche di incursioni giuridiche, a narrare la verità che i giornali non sono stati incapaci di cogliere. Primo dei ragazzi di vita, amante di questa al punto di cedervi reputazione e immagine pubblica, in nome di una passione irrefrenabile per il reale. A cento anni dalla sua nascita, Roma rende omaggio all’ultimo degli accattoni, con un ciclo espositivo in tre tappe intitolato “Tutto È Santo” (a citazione di una battuta dell’opera “Medea”), ospitato nei tre musei partecipanti: Palazzo delle Esposizioni (19 ottobre ’22 – 26 febbraio ’23), Palazzo Barberini (28 ottobre ’22 – 12 febbraio ’23), MAXXI (16 novembre ’22 – 12 marzo ’23).

Le mostre tributano il ricordo del regista, scrittore ed artista, andando ad operare un intervento quasi chirurgico sul corpo storico, politico e sociale che si intreccia con discipline, media, opere originali e documenti d’archivio secondo tre direttrici autonome, specifiche per ogni sede, ma ideate per offrire uno sguardo totalitario sulla produzione pasoliniana. Ognuno di questi percorsi espositivi avrà come luogo comune la corporeità in tre accezioni diverse, dal quale prendono il nome: Corpo Poetico, Corpo Veggente e Corpo Politico.

Corpo Poetico
La prima tappa, negli spazi neoclassici del Palazzo Delle Esposizioni, presenta l’immagine produttiva, artistica del noto autore, senza sottrarla allo sguardo dispotico di una società incriminante e conservatrice. Tra più di 700 documenti originali si scorge la fragilità dell’uomo e la determinazione dell’intellettuale che non si è mai piegato all’ordine politico imposto, ma solo alle regole di un’esistenza vissuta ai margini del possibile. Dalle mura “imbrattate” del Quarticciolo alle strade sterrate del Mandrione, la mostra si presenta come un primo viaggio per i sobborghi e le provincie, dove per Pasolini viveva la cruda realtà china davanti alle necessità della vita come il denaro per il quale tutto era concesso e nulla proibito, ed il buon nome, che veniva lasciato fuori le porte rudimentali di questi quartieri. Figlio compiacente di questa Mamma Roma, dalla quale ricevette sempre viziose carezze. Lontano da queste realtà, in quelle compite ed istituzionali della cultura viveva il Pier Paolo Pasolini pubblico, seduto ai tavoli letterari, adorno da volti noti come Dacia Maraini, Franco Citti e Maria Callas, dietro i quali nomi si consumava amicizia e passione, a volte così plateali da non lasciare nulla per sé, come ricordava il giovane autore. In questo breve cammino tra genialità contestata e padronanza del verbo della vita, si visita la costumeria, fatta di circa 200 abiti provenienti dai set cinematografici del regista, prezioso prestito della sartoria Farani che ricorda il nome di Pier Paolo Pasolini tra gli intrecci della canapa e la pelle ramata di una tessuteca ancora viva. Dopo l’ascolto di registrazioni vocali e video dal 1940 al 1970, il viaggio termina in tribunale, quella che venne definita “la corte dei tempi”, con una lista di sentenze che gravavano sul nome dell’intellettuale italiano. Fatti noti e volti sconosciuti animano le pagine ingiallite dei giornali puritani di quegli anni, che descrivono l’artista con titoli diffamatori, come un criminale, reo “di aver smesso di sfogliare le pagine della cultura per quelle depravate della sessualità”.

Corpo Veggente
A Palazzo Barberini va in scena il secondo atto di questa narrazione storica, cioè l’ispirazione e la ricerca pasoliniana dietro alle sue opere cinematografiche e letterarie. Il corpo della mostra, concepito come un “montaggio”, illustra la capacità delle immagini di sopravvivere e, che si tratti di dipinti del 1600 o di pellicole contemporanee, per l’autore italiano, tutto è fotografia e reperto storico che mostra verità nascoste. La passione per le immagini antiche farà sempre parte della produzione pasolinida, trasfigurate dal suo obiettivo, rese testimonianze del rapporto tra sacralità e mondanità, realtà e illusione e presentate al cospetto della storia.

 

left, Alberto Moravia, Dacia Maraini, Pier Paolo Pasolini, (persona non identificata), Maria Callas. Polaroid Archivio Fotografico di Dacia Maraini

Corpo Politico
Al MAXXI, dalla narrazione in prima persona si passa ad una in terza, con le interviste dei suoi compagni, amici e colleghi che lo ricordano, rivelando al pubblico l’ennesima “storia nella storia”. Ideata e realizzata come un macrotesto che include un dialogo serrato tra le opere degli artisti ospiti e i 200 documenti dell’ultima fase artistica di Pier Paolo Pasolini, con una riflessione sull’anno 1975, la mostra vuole permettere al pubblico di prendere posto a quel tavolo in Via Veneto, dove si riuniva la cultura istituzionale di quegli anni, e di ascoltare dibattiti e discussioni sul futuro dell’arte. Non tanto rosea l’immagine finale, che si concretizza in una denuncia agli organi sovrani italiani, è l’ultima parola politica espressa dall’intellettuale scontratosi sempre sui temi di organizzazione del sistema anarchico italiano e su quello del sesso come metafora del consumo e mercificazione dei corpi. La spontaneità degli ultimi, il dispotismo dei primi, la disposizione gerarchica di una società consumata dal desiderio proibito del domani ancora lontano restituiscono la sincerità del messaggio pasoliniano che si apre alle nuove generazioni.