Dopo anni di assenteismo, alternata partecipazione e privatizzazione del concetto di moda, Milano riapre le sue porte al grande pubblico in un’edizione che si dimostra “condivisa” e ancor più “sicura”. È proprio questa la linea scelta nelle collezioni presentate in un cinque giorni di artistica certezza. E se l’archivio era già terra di saccheggio e core business del mercato, allora la S/S 23 propugna ancora una volta il linearismo identitario esplicito, fatto di recuperi e reinterpretazioni. Dall’approccio sperimentale del denim per Diesel all’erotismo celato di N°21, la Milano delle collezioni S/S 23 non rischia e si concede il lusso di prendersi del tempo (ben una stagione) per riaffermare già consolidati immaginari. Al massimo si ricorre alla contaminazione culturale, in particolare a quella orientale fatta di giardini sospesi e sete preziose che si coniugano ad un’estetica dominante della generazione y2k (i cosiddetti 2000).

La scelta di “reinterpretare” e di non “rivoluzionare” i codici estetici risulta essere una scelta involontariamente comune a tutti nomi in calendario, dai più blasonati a quelli meno, che si uniscono in un messaggio plateale. Il primo è Diesel che abbatte le mura dell’elitarismo e si apre ad una platea in ovazione, grazie ad una collezione che ridefinisce il concetto di “moda democratica”, cioè di quell’abito rigorosamente in denim che tra stralci di tessuto e nuove lavorazioni parla una lingua sola, quella dell’heritage del brand, universalmente conosciuto. E se a parlare è l’archivio, allora Versace è forse l’interprete più noto nell’arte del recupero e la S/S 23 sembra non sottrarsi a questa maestria, presentando una figura femminile punk, fintamente casta e provocante like a vergin, a ricordo dei look iconici della popstar degli anni ’80 che creò un sodalizio continuo con il brand della Medusa. E tra abiti gotici, low waist e velette multicolor, rivive il biondo della regina del pop, anche se a sorpresa ad apparire è un’altro iconico biondo pop: quello di Paris Hilton, forse a ricordo di quel fascino spregiudicato che sa tanto di ribalta. Anche Fendi ricorre all’immaginario estetico alla Hilton, quello degli 00s, con una collezione strategica che incorpora tendenza e contaminazione d’oltreoceano. Pantaloni a più tasche in lucida seta verde chiaro si combinano con mini shirt velate con ricami di fiori orientali in una S/S 23 che ha ben chiaro in mente il suo collocamento nel mercato, prediligendo una donna capace di adattarsi ad una geografia culturale sempre più fluida.

E se Versace ci guida alla riscoperta degli irriverenti 80s, allora Dsquared2 allunga il suo viaggio temporale approdando negli anni ’60, con pantaloni ampi a righe e mini abiti multicolor. I fratelli Caten, che da un anno sono tornati sulla scena, ricorrono alla reinterpretazione delle shapes iconiche del brand, nascoste da sovrapposizioni e stampe, per rinnovarsi e mostrarsi più aggiornati che mai.

Come un vecchio movie, N°21 proietta la sua commedia noir intitolata “L’amante”, dove la donna protagonista abbandona il moralismo sociale in cerca di libertà sentimentale. Vestita di lingerie e chiffon, scivola scomposta in un’immagine di femminilità emancipata: tema ricorrente nella ricerca del brand che riscrive, di collezione in collezione, il significato di erotismo, senza mai ricorrere ad un vocabolario comune. Prada si avvicina, a sua volta, ad un erotismo mancato capace di sedurre la donna stessa. Il brand con il duo creativo Miuccia Prada e Raf Simons abbandona il minimalismo per avvicinarsi ad un brutalismo espressivo, carico di emotività, come mostrano gli abiti non finiti, come se la donna fosse vestita di carta e ad ogni passo pieghe e spacchi si allargassero sempre più.

Gucci pure si avvale dell’effetto sorpresa, ma ancor di più se ne serve per mostrare un impegno sociale al quale Alessandro Michele non si sottrae mai. “Twinsburg” è il titolo della collezione che sembra vederci doppio con ben 60 coppie di modelli gemelli che narrano il valore dell’unicità, in una successione di look che nel loro parallelismo richiamano al diritto di essere diversi. Diritto al quale si appellano anche le nuove direzioni creative in debutto: da Maximilian Davis da Salvatore Ferragamo (ora solamente Ferragamo) a Marco De Vincenzo, nuovo direttore creativo di Etro, tutto muta alla consegna delle chiavi artistiche delle maison. Davis alleggerisce Ferragamo protraendosi verso un minimalismo tecnico in total red. De Vincenzo, al contrario, presenta un Etro nuovo, un viaggio tra colore e linearità, in una purezza estetica degna di un ex alunno della grande accademia Fendi. E se anche di debutto non si può più parlare, alla seconda collezione per Bottega Veneta, Matthieu Blazy riprende dove aveva lasciato, in uno story telling ancora in costruzione.

Un viaggio interconnesso tra passato e presente, nel quale muoversi cautamente, per non imbattersi nel “mostro a più teste” che si nasconde dietro l’opinione pubblica: l’ignoranza, nemica del progresso e delle arti. Così, la moda si fa promulgatrice di un messaggio che inneggia alla crescita culturale, a volte scontrandosi con il perbenismo comune.