Tra favola e mito, un sottile filo congiunge due universi paralleli senza mai cedere al passo degli avventori: è questa la capacità del brand spagnolo naturalizzato francese Loewe: riuscire a ricreare una realtà favolistica con contaminazioni del mondo esterno, come se vivesse sotto una teca di vetro dall’incantesimo spezzato. Un’immaginario che sfiora le arti antiche, che abbraccia le culture orientali e che si lascia cullare dal verbo dell’immaginazione, il direttore creativo Jonathan Anderson è il narratore ideale di questa storia che ormai, pagina dopo pagina, allarga il suo universo oltre lo scibile umano. E se Anderson è lo storyteller di questa fiaba, gli artigiani che si nascondono dietro le collezioni sono la mano con cui viene scritta.

Un immaginario pop contemporaneo, dove le borse sembrano prendere vita e mutare in creature fantastiche in liscia pelle butterata, dalla Elephant bag che ricrea il profilo dell’omonimo animale, fino ad arrivare ad uccelli e roditori in un tripudio di creativa illusione.

Un mondo fantastico, ma dalle radici solide e reali che affondano nell’arte e nello studio della scultura. Il designer inglese più volte ha ribadito l’importanza della sua ricerca nello studio dei dipinti del ‘500 e ‘600: da Velázquez, protagonista dello show FW20, con il quale guida lo spettatore in una story line dalle tinte scure proprie dell’artista spagnolo che però rivelano un’inaspettata carica gioiosa enfatizzata dalla maestosità delle shapes propriamente seicentesche, proprio come in alcuni ritratti velazquiani. Fino ad arrivare alla scultura neoclassica che caratterizza la composizione dei seatting degli show, mai troppo pieni eppure avvolgenti, esattamente come nella campagna della SS22, che per il posing riprende alcune opere del Bernini. Non solo passato, ma anche presente, con collaborazioni che rivelano influenze provenienti dal manga, che accentuano in chiave contemporanea il motivo fantastico del brand.

Sapienti mani, dal tocco esperto, ed un elastica creatività sono gli ingredienti fondamentali dietro il successo decennale del marchio che continua a sorprendere con silhouette organiche, a tratti cubiste, che diventano armature dorate (SS22), come se la donna Loewe fosse non solo la principessa protagonista della favola, ma anche moderno cavaliere nella vita di ogni giorno, rivelando ulteriori risvolti della femminilità di Jonathan Anderson, lontana dallo stereotipo comune di inaccessibile bellezza bensì di fragile intimità da custodire. Un gioco dalle regole complesse e dal misurato equilibrio che, come in ogni favola, nasconde una morale sociale. Come ad esempio la SS18, dove la campagna surrealista con sfondo la casa di Dalí diventa il tramite per raccontare la metafora del viaggio, della migrazione, della ricerca della propria sponda, riletta in chiave fanciullesca di bambini che giocano a fare i pirati con maglie a righe e accessori patchwork.

Un labirinto sapientemente costruito, dove perdersi è piacevole, quasi a volersi distaccare – anche solo per 15minuti – dalla razionalità del reale.

“La logica della moda è di per sé l’illogicità dell’uomo di rispondere ai propri desideri”, diceva Tim Blanks, sostenendo che il compito di una collezione fosse quello di trasportarti in un viaggio visivo che nasce dalla spontaneità dell’emozione creata dalla scoperta di un abito, e questa è forse la più grande abilità della maison. E come ogni mito necessita di essere tramandato, affinché questo possa continuare a vivere anche solo negli occhi di chi guarda, e di chi sa osservare.