Io la notte non sapevo cos’era. Vivevo nell’eterna luce, nel chiarore di ciò che è giusto e buono. Ed ero felice, sì, ero felice perché non avrei saputo essere nient’altro. Non avevo scelta, se non la gioia.

Osservavo dall’alto il formicaio dei dolori umani, le loro inquiete felicità, e le passioni effimere, nate più dalla rabbia che dal desiderio, e a quella luce ogni cosa mi pareva incomprensibile. Guardavo i pescatori tornare a casa o venire inghiottiti dalle acque, i loro figli giocare o finire anch’essi annegati, e i mercanti litigare sui prezzi e farsi squarciare il ventre sulla via del ritorno. E vedevo ladri e assassini, falsari e truffatori, cartomanti e prostitute esercitare per pochi soldi i loro mestieri. Vedevo la lotta strenua per la vita, fatta di compromessi, imbrogli, oscurità. E dalla mia luce, non capivo.

Ma c’erano momenti in cui il mio cuore sentiva una stretta. Tutto quello splendere per un attimo si offuscava, e la vista tornava a cogliere le ombre degli oggetti. In quegli istanti, da lassù, io incrociavo lo sguardo di uno di loro, stranamente rivolto verso l’alto, verso di me, quasi volesse parlarmi. E non per accusarmi di quell’enorme ingiustizia, dello strazio che è la vita degli uomini. Negli occhi gli leggevo solo benevolenza e amore. E questo più che mai non lo capivo.

Finché una donna, una che avevo visto derubare un passante, e uccidere un uomo in un vicolo, e truffare altre come lei al mercato, si affacciò alla finestra e con l’amore negli occhi si rivolse a me. Le sue labbra si muovevano, ma io non riuscivo a sentirne il suono.

La curiosità mi divorava. Scelsi di scendere da lei, di allontanarmi dal luogo in cui ero vissuto. La terra era fredda e ruvida, mi feriva i piedi. Era buio, e le ombre facevano paura. Arrivai sotto la sua finestra, mi fermai. Lei rimaneva affacciata, gli occhi rivolti a un punto sopra di me.

“Cosa vuoi dirmi?”

Ma lei non distolse lo sguardo. Non mi vedeva nemmeno. E non parlava con me, non era a me che aveva sussurrato. In braccio teneva una bambina, e le diceva, guardando verso l’alto:

“Vedi, le stelle?”

Mi voltai anch’io, seguendo con gli occhi il suo dito puntato. Da laggiù, la mia casa splendente era una cupola nera. E il cielo era un tappeto di stelle sparse, che brillavano tenui e distanti, come se ci dessero un addio.

Io, cresciuto nell’eterna luce, vedevo la bellezza per la prima volta.

Così compresi l’oscurità, e amai l’uomo, la creatura imperfetta da cui il male nasceva.

Io, Lucifero.